Liberato in Venezuela il prigioniero Usa Joseph St. Clair. Al centro dello scambio anche la licenza sul petrolio

Le autorità venezuelane hanno rilasciato Joseph St. Clair, giovane veterano dell’Air Force degli Stati Uniti, arrestato a Caracas dal 1° novembre del 2024 e da allora detenuto. St. Clair è stato poi consegnato all’inviato speciale Usa presso Caracas, Richard Grenell, che da gennaio ha aperto una delicata trattativa col governo venezuelano. L’ex-militare è poi partito in aereo verso gli Usa. Nessuna ambiguità, ma un do ut des: in cambio della liberazione di St.Clair e di altri cittadini statunitensi detenuti a Caracas, Washington sta valutando la possibilità di concedere alla multinazionale statunitense Chevron – e altre aziende affiliate – una seconda estensione di 60 giorni della sua licenza per operare in Venezuela che scade il prossimo 27 maggio. Una proroga che riapre così il tavolo negoziale per il rinnovo di un ulteriore accordo estrattivo per consentire alle multinazionali del petrolio di operare nel Paese. La notifica di fine operazioni era giunta non solo alla Chevron, ma anche ad altre imprese petrolifere tra cui Eni e Repsol, che ora attendono l’esito delle trattative tra Caracas e Washington.
I familiari – “Le nostre preghiere sono state ascoltate”, hanno scritto in una nota i genitori di Joseph, Scott e Patti St. Clair, esprimendo il loro ringraziamento al presidente Usa Donald Trump, Richard Grenell e altre personalità coinvolte nei negoziati con il Paese sudamericano. “Non smetteremo di lottare – aggiungono – per e con le famiglie degli statunitensi che permangono ingiustamente detenuti in Venezuela“. Il rilascio apre ulteriori spiragli per gli stranieri detenuti nel Paese sudamericano nei mesi successivi alle controverse elezioni presidenziali dell’estate 2024, tra i quali il cooperante veneto Alberto Trentini e altri sette cittadini italiani. La liberazione è stata celebrata anche dall’avvocato Alfredo Romero, fondatore dell’Ong Foro Penal, il quale ha fatto sapere che vi sono ancora novecento prigionieri politici in Venezuela, tra cui 79 stranieri. Tra loro, aggiunge l’organizzazione per i diritti umani Calas, almeno trenta sarebbero in condizione di “sparizione forzata”, che rende impossibile conoscere la destinazione del prigioniero.
Il profilo – St. Clair, di 33 anni, è reduce da quattro missioni in Afghanistan. Ha ricevuto la Distinguished Flying Cross (Dfc), onorificenza riservata ai membri delle Forze armate Usa che si sono distinti per “eroismo o risultati straordinari durante la partecipazione a un volo aereo”. Secondo quanto riporta il New York Times, St. Clair, specialista in lingue, era andato in Sudamerica in cerca di un trattamento per il disturbo da stress post-traumatico. Suo padre, Joseph, lo attendeva da sei mesi, angosciato dagli effetti del disturbo della prigionia sulla sua psiche. “In realtà St. Clair sarebbe stato liberato qualche mese prima, a gennaio: il suo nome era nell’elenco dei sei prigionieri Usa richiesti da Grenell”, racconta Fatima Sequea, sorella del generale Antonio José Sequea, recluso a El Rodeo I nell’ambito dell’Operazione eversiva Gedeone. “Tuttavia, quando le guardie carcerarie si recarono in cella per portarlo via St. Clair oppose resistenza”. Così al suo posto è stato rilasciato un altro concittadino Usa, e lui è rimasto dentro.
La diplomazia degli ostaggi – C’è un dettaglio che rischia di essere trascurato nella nota rilasciata dai familiari: la menzione di Adam Boehler, inviato speciale Usa per gli Affari degli ostaggi (Sepha). Si tratta dell’ufficio della Casa Bianca che ha il compito di “assicurare un rilascio sicuro per i cittadini Usa presi in ostaggio o arbitrariamente detenuti oltre i confini federali”, si legge sul sito state.gov. Il Sepha sostiene i detenuti e i loro familiari, anche in collaborazione con organizzazioni private, e soprattutto gestisce le pratiche inerenti alla diplomazia degli ostaggi. Tale dinamica è confermata dagli stessi prigionieri rilasciati a gennaio dal Rodeo I, tra cui David Estrella, che raccontano di non essere mai stati informati dei motivi della loro prigionia, trovandosi incastrati in gioco politico più grande di loro. È da sottolineare anche la collaborazione intercorsa tra la Casa Bianca e le associazioni dei familiari dei detenuti tra cui Bring Our Families Home e HostageUs.
Complessità – La diplomazia degli ostaggi si applica anche per il caso Trentini, per il quale si attendono ulteriori gesti di apertura – tra cui la visita consolare – da parte di Caracas. Certamente non possiamo dedurre alcuna linearità nelle difficilissime trattative che portano alla liberazione di un prigioniero: ogni operazione ha i suoi tempi e la sua contropartita. E per l’Italia, nel caso venezuelano, si sono presentate non poche difficoltà. È anche risaputo che le autorità di Caracas non informano le cancellerie sull’arresto dei rispettivi concittadini, ma i diplomatici ne vengono a conoscenza attraverso canali informali (come l’account X di Foro Penal).
Vale la pena ricordare le misure restrittive solo recentemente affievolite nei confronti delle ambasciate italiana, francese e dei Paesi Bassi a Caracas, rimaste anche a corto di personale e con severe limitazioni di movimento. Poi c’è l’intelligence, che riesce a muoversi con più destrezza e mantiene uno scambio di informazioni con interlocutori governativi in loco. “Nessuna sorpresa – commenta una fonte venezuelana. – C’è da essere pragmatici in un Paese militare e per i militari. Qui gli organi di sicurezza sono un passo avanti rispetto alla politica”. Di questo va preso atto, laddove c’è da riportare qualcuno a casa.