Venerdì 15 novembre discuteremo nella Sala del Minor Consiglio del Palazzo Ducale a Genova con Paolo Flores d’Arcais, tra i (rari) grandi caratteri della Sinistra italiana e certamente uno dei suoi migliori organizzatori culturali, come dimostrano i 38 anni della sua direzione di MicroMega e il successo di questa testata ponderosa, che non ha mai concesso nulla alle mode e allo spirito dei tempi. Un’avventura intellettuale a cui chi scrive partecipa dal lontano 1996, magari con testi non propriamente allineati alle idee del direttore, eppure messi sempre in pagina con fraterna tolleranza.

Dunque, ciò che si annuncia per venerdì non è una celebrazione quanto una nuova tappa dell’ininterrotta discussione che ha reso la rivista uno spazio unico e prezioso. E parleremo anche dell’ultimo intervento di PFdA apparso nel sito della rivista giorni fa (“L’inizio della fine della democrazia”). Magari da discutere partendo dal suo incipit perentorio: “Il 5 novembre inizia la fine dell’epoca della democrazia, come il 12 ottobre 1492 inizia l’epoca moderna. Le date-spartiacque sono ovviamente convenzionali, la storia è un intrecciarsi di processi non un susseguirsi di cesure. Ma la vittoria di Trump nelle lezioni presidenziali segna certamente l’inizio della fine della democrazia in Occidente, unico spazio dove abbia avuto esistenza”. Difatti, chi scrive dubita fortemente che quella americana sia la quintessenza della democrazia. Tema su cui qualche dubbio avanzava già il suo primo esploratore – Alexis de Tocqueville – non facendosi ingannare dai rituali elettoralistici; dietro i quali intravvedeva sempre il pericolo della “dittatura della maggioranza”. Ossia la possibilità di scorgervi sempre le impronte digitali di quelli che il sociologo Charles Wrigth Mills chiamava “i 400 metropolitani”: le grandi ricchezze di un’oligarchia che attualizzava la natura originaria degli Stati Uniti, nati come “plutocrazia coloniale”.

Semmai pone qualche nuova domanda la trionfale vittoria di Donald Trump della settimana scorsa. Un tipo che Jeffrey Sachs su il Fatto cartaceo aveva definito, trascurandone gli aspetti più inquietanti di para-golpista, “un immobiliarista corrotto di New York City che è diventato presidente. Ama la ricchezza, il potere, la fama e il golf. Sembra – e spero proprio sia vero – che ami la ricchezza e il golf più della guerra”. Mi chiedo: è possibile inquadrare il fenomeno Trump negli schemi tradizionali di destra e sinistra?

La mia personale convinzione è che quanto ormai va prefigurandosi da tempo fuoriesca abbondantemente dalle tradizionali categorie nate nella sala della pallacorda di Versailles il 20 giugno 1789; quando Clero e Nobiltà si collocarono a man dritta e il Terzo Stato si raggruppò sul lato mancino. Da allora, è stata questa la geografia che negli ultimi due secoli contrappone visivamente e concettualmente la conservazione al cambiamento. Ma, rispetto ad allora, qualcosa è drasticamente cambiato nello spazio incubatore della democrazia, in coincidenza con l’apertura del duplice vaso di Pandora della eliminazione dei contrappesi alle pulsioni capitalistiche e alla cancellazione dei confini statali (la loro capacità di governare i processi socio-economici), a seguito del varo di quella globalizzazione che aggettiviamo “finanziaria” ma che potremmo etichettare anche “americana”.

Un cambio radicale di scenario che ha favorito l’avvento del turbo-capitalismo e l’accumulo di ricchezze faraoniche, una volta liberate dal vincolo del prelievo fiscale. Immense ricchezze che si sono comprate all’incanto una politica sempre più inerme. Non per promuovere questo o quel progetto, bensì per avere mano libera nell’accumulazione della ricchezza.

L’attuale capofila di questa nuova infornata di robber barons, combattuti all’inizio del Novecento dal cugino di Franklin Delano Roosevelt, il suo predecessore alla Casa Bianca Theodore, è il multimiliardario Elon Musk; che siede a fianco di Donald Trump (o viceversa?). Il tycoon di Tesla, in costante eccitazione chimica (stando ai si dice, cocaina, ecstasy, funghi allucinogeni e ketamina), i cui progetti imprenditoriali sembrano tratti da un comic di fantascienza. Con aspetti a dir poco inquietanti, tipo gli esperimenti transumani e post-umani da dottor Mengele del Terzo Millennio: l’idea di innestare apparecchiature meccaniche che aumentino le potenzialità di creature trasformate in cyborg; come nella serie “Metabaroni” della coppia fumettara Moebius-Jodorowsky.

Intanto Meloni si prepara ad allinearsi al nuovo potere, mentre la sventurata Schlein va in cerca di lumi proprio dal banchiere ex Goldman Sachs Mario Draghi. Anche di questo si parlerà al Ducale con Paolo. Per chi fosse interessato, l’appuntamento è alle 18.

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