Cinema

Venezia 2024, sembra che Jude Law sia tornato a recitare in modo onorevole e in un film decente: la recensione di The Order

E' proprio il buon vecchio Jude (51 anni) a fornire al film magnetici e intensi strappetti, sguardi saettanti tra il folle e il burbero, per il suo detective dell’FBI, Terry Husk, nel film diretto da Justin Kurtzel

di Davide Turrini

Vorremmo dirlo sottovoce, ma sembra che Jude Law sia tornato finalmente a recitare in modo più che onorevole e in un film pure decente. Non accadeva all’incirca da una decina d’anni (Black Sea). The Order, thriller poliziesco con dosi massicce di razzismo da suprematismo bianco in Concorso al Festival di Venezia, non è nulla di trascendentale (come direbbe il direttore Barbera: “prendiamo quello che è pronto”).

Ed è proprio il buon vecchio Jude (51 anni) a fornire al film magnetici e intensi strappetti, sguardi saettanti tra il folle e il burbero, per il suo detective dell’FBI, Terry Husk, nel film diretto da Justin Kurtzel (Macbeth, The true history of Kelly Gang). Tratto dal libro del 1990 The silent brotherhood, e basato su reali accadimenti avvenuti tra il 1983 e 1984 nella costa nord occidentale degli Stati Uniti, The Order ha dalla sua l’ipnotico feeling che il cinema crea dalla notte dei tempi tra buoni e cattivi, tra guardia e ladri (qui, pardon, assassini), tra istituzioni e cospirazione, che ha innervato centinaia e centinaia di titoli, senza che, appunto, arrivasse una chiamata per il Leone d’Oro veneziano.

Il solitario e veemente cacciatore di cervi Husk, unico e nuovo rappresentante dell’Fbi in un isolato avamposto dell’Idaho, intuisce che dietro una serie di rapine, attentati dinamitardi e l’omicidio di un uomo, c’è un’organizzazione ben definita e pericolosa. Grazie all’aiuto di un giovane vice sceriffo (Tye Sheridan) e all’ok del suo capo donna si metterà sulle tracce del nutrito e violento gruppo di separatisti bianchi animato dal giovane Bob Matthews (Nicholas Hoult). Si tratta di estremisti armati di tutto punto, separatisi perfino dall’Aryan Nations di un vecchio ed elegante predicatore che va in giro con ritoccate svastiche, e imboccati da una teoria graduale del conflitto contro il governo federale, i neri e gli ebrei, grazie a un romanzetto storicamente vero del 1978 intitolato The Turner Diaries.

The order è però tutto incentrato sulla caccia a Matthews, sull’unione dei puntini della detection, sui campi lunghissimi delle auto in mezzo alla natura incontaminata dell’Ovest, come ad una manciata di rapidissime scene d’azione con sparatorie. Non aspettatevi analisi antropologiche culturali del contesto e dei caratteri (l’anarchismo destrorso del Nord Ovest negli anni ottanta ha tratti non proprio identici ai “colleghi” del sud e del basso midwest più recenti), come nemmeno sfide individuali alla Heat. Si vede che Kurtzel non ha molto tempo da scialare. Lascia così che sia Law a riportare continuamente sui suoi baffoni vintage, sulla masticata del chewing gum, la sigaretta tenuta a conca nel palmo chiuso della mano, la vulnerabile cicatrice in mezzo al petto, quell’attenzione dello spettatore al divo che sarebbe invece accorso a vedere il film in quanto affamato di giustizia sociale e politica. Spiace far confronti, ma The order è un I segreti di Wind River (2017) senza la sensibilità e la volontà di raccontare angosce e fratture storiche di una piccola fetta di America. In attesa che qualcuno associ dei fanatici nazisti assassini alla base elettorale repubblicana che vota Trump, osserviamo comunque che il cinema di genere rimane il più solido terreno per tentare di rilanciare i divi stagionati dopo essersi incagliati nelle maglie del mondo Marvel.

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