Ventidue milioni di vecchie lire versati con due assegni, il primo nel 1993 e il secondo nel 1997, dall’ex capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, in favore dall’ex capo unità centrale informativa Luigi De Sena. Sono le cifre che saltano fuori dall’inchiesta della Dda di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca che insieme al procuratore aggiunto Pasquale Pacifico stanno indagando sulla scomparsa dell’agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, e depositate nel processo di appello Depistaggio. Assegni, estratti conto, ricevute bancarie di La Barbera, trovate durante le perquisizioni ai suoi familiari, finite sotto la lente della guardia di finanza per ricostruire eventuali anomalie nei fondi in mano all’uomo che guidava le indagini sulle stragi di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Borsellino e gli uomini della scorta. Un pioggia di soldi versati in contanti con cifre che aumenterebbe a partire dalla rovente estate del 1992, proprio nei mesi in cui stava nascendo la pista della “Guadagna”, ovvero “il più grande depistaggio della storia recente d’Italia”.

Rutilius – Gli inquirenti stanno cercando di capire perché La Barbera versasse quelle somme a De Sena, ma vista la prematura scomparsa dei due dirigenti di polizia, la risposta non è semplice. Un dato è certo, il loro legame. Sappiamo infatti dalla relazione dell’Aisi, depositata nel processo “Borsellino Quater” e nel “Depistaggio”, che La Barbera “ha intrattenuto un rapporto di collaborazione con il disciolto Sisde dal febbraio 1986 sino al 28 marzo 1988, con nome in codice Rutilius, nel periodo in cui egli era dirigente della Squadra Mobile di Venezia” e “la proposta del febbraio 1986 per la sua collaborazione con il Sisde era stata avanzata dall’Unità Centrale Informativa (Uci), di cui era Direttore all’epoca il dottor Luigi De Sena”. “Nessun documento – si legge nella nota dell’Aisi – sarebbe stato redatto da La Barbera durante il suo rapporto di collaborazione con il Sisde”. “I lacunosi ricordi di De Sena hanno tradito le aspettative di questo ufficio che aveva ritenuto, che, tramite lui, in considerazione degli stretti legami con La Barbera, si potesse far luce sulle strategie e sul modo con cui erano state sviluppate le investigazioni sulla strage di via D’Amelio”, diranno alla commissione antimafia nazionale i magistrati nisseni Sergio Lari e Amedeo Bertone, che avevano interrogato De Sena.

Inchieste e depistaggi – De Sena, che poi diventerà senatore Pd e vicepresidente della commissione antimafia, racconterà ai magistrati nisseni di aver sostenuto l’ingresso nel Sisde di Emanuele Piazza e Vincenzo Di Blasi. Il primo sarà sequestrato e poi ucciso il 16 marzo 1990 da cosa nostra, il secondo invece è stato condannato a sette anni per favoreggiamento al clan dei Graviano. La morte di Piazza sarebbe legata a quella di un poliziotto: Nino Agostino, ucciso insieme alla moglie il 5 agosto 1989, per il quale è stato condannato all’ergastolo in abbreviato in primo grado il boss Nino Madonia. Le prime indagine coordinate da La Barbera sui casi Piazza e Agostino puntavano invece con inesistenza sulla pista passionale. Nelle motivazioni di primo grado della sentenza Depistaggio, i giudici scrivono: “È chiaro che questa necessità di ‘provvista’ di La Barbera, coperta prima dal Sisde per il tramite di De Sena e dopo dallo stesso capo della Polizia, Vincenzo Parisi, non possa essere ritenuta ‘neutra’, quantomeno in astratto, rispetto alle indicazioni fornite nell’odierno procedimento e sin dal Borsellino Quater, dai collaboratori Vito Galatolo e Francesco Onorato i quali hanno indicato il citato funzionario come soggetto ‘al soldo’ dei Madonia”.

Sperequazione 1992 – “Non si hanno, in ogni caso, informazioni in merito all’origine di tale provvista. Gli importi potrebbero derivare da risparmi pregressi, sebbene certamente la somma sia elevata. E si aggiunge altresì, come già detto, che l’entità di tali giacenze potrebbe essere parziale”, scrivono le fiamme gialle nella loro informativa inviata alla Dda di Caltanissetta. Quindi considerato che La Barbera ha collaborato con il Sisde tra l’86 e l’88, “non appare credibile né che il saldo cospicuo sui conti derivi principalmente da tale attività né che i continui versamenti nei conti correnti nel periodo 1990/1992 derivino da tali pregresse prestazioni”. Pertanto “la sproporzione rilevata non appare giustificabile” e sarebbe di 97 milioni di lire. Sempre nel 1992, si registrano due versamenti in contanti ad aprile per 12 milioni e 500mila lire provenienti da Giuseppe Ferocino, e altri due tra settembre e ottobre, di 5 milioni e 200mila lire, da Sergio Di Franco. Entrambi sarebbero stati i due autisti di La Barbera quando era a capo della squadra mobile. Spetterà agli inquirenti ricostruire perché hanno versato quelle somme.

Nello stesso anno c’è un incremento delle operazioni di ingresso di denaro contante. Tra luglio e dicembre 1992 ci sono ben 30 operazioni di versamenti, per un ingresso totale di 66 milioni di vecchie lire. Sono i mesi successivi alle due stragi, in cui il gruppo guidato da La Barbera conduce le indagini sugli esecutori, che porterà per via d’Amelio alla pista dei balordi della Guadagna, quartiere di Palermo. Figure di piccolo spessore criminale, come Vincenzo Scarantino. A settembre vengono interrogati i primi sospettati, Luciano Valenti e Salvatore Candura, e ci sono i sopralluoghi nei posti dove sarebbe stata preparata della strage di via d’Amelio. Ad ottobre, i presunti mafiosi Valenti-Candura confermano di essere gli artefici, e nello stesso mese La Barbera fa mettere un suo confidente, Vincenzo Pipino, in cella con Scarantino per “marcare” il collaboratore. Tutti si autoaccuseranno, e le indagini prenderanno la pista del “più grande depistaggio della storia recente d’Italia”, fino alla collaborazione di Gaspare Spatuzza che smaschererà il teorema.

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