“Certo è che l’esistenza dei familiari delle vittime di mafia non finisce mai di essere turbata”. E’ così che inizia una lettera che mi onoro di ospitare sul mio blog, non solo per le firme in calce ad essa ma per il grido di dolore e di rabbia che trasuda. Senza togliere altro spazio, lascio la parola a loro.

Certo è che l’esistenza dei familiari delle vittime di mafia non finisce mai di essere turbata. Per esempio, eravamo convinti che, dopo una condanna penale passata in Cassazione, l’imputato diventasse definitivamente colpevole del reato ad egli contestato.

Conoscevamo l’esistenza della revisione di un processo, richiesta dopo la condanna definitiva quando sopraggiungono elementi di merito, nuovi ed evidenti, che indichino l’innocenza del condannato. Sapevamo dell’esistenza, poi, del cosiddetto “ricorso straordinario” in Cassazione, richiesto solo ed esclusivamente per la correzione di un mero errore materiale (“si riferisce alla sola documentazione grafica (…), un mero lapsus calami nella stesura del provvedimento, non coincidente con quello che il giudice realmente intendeva” [cit. Brocardi.it]) o di fatto (“una svista o un equivoco, in cui la volontà del giudice non si è formata correttamente. [cit. Brocardi.it]).

Ebbene, come ormai siamo stati abituati ad aspettarci quando c’è di mezzo Rosario Pio Cattafi, l’eccezione diventa la regola per lui, il mafioso (fino al 2000) – di cui si è già più volte trattato su queste pagine – legato a doppio filo con neofascisti, massoni e centri di potere più o meno istituzionali.

Per lui gli avvocati possono presentare un ricorso straordinario in Cassazione, senza indicare quali siano gli errori di fatto o materiali presenti nella sentenza definitiva; anzi, chiedendo che i giudici prendano in considerazione nuovamente le dichiarazioni dei plurimi collaboratori di giustizia che lo hanno accusato e che, ritenuti attendibili in tre gradi di giudizio, hanno contribuito a farlo condannare.

Giovedì 29 febbraio si celebrerà l’udienza per la trattazione di questo ricorso straordinario, più che straordinario, a ben vedere. E alla sensazione di perenne ingiustizia, si aggiunge anche la paura, visto il pedigree del soggetto in questione, già testimone di nozze del capomafia di Barcellona Pozzo di Gotto e già oggetto dell’appellativo “zio Saro” (importante nomignolo per la gerarchia mafiosa), pronunciato addirittura dal capo dei capi, Totò Riina; Cattafi è pregiudicato per mafia, porto e detenzione abusivi d’arma da fuoco, lesioni (in concorso con il mafioso poi “artificiere” della strage di Capaci, Pietro Rampulla) e calunnia (ai danni del collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano e dell’avvocato di diversi familiari di vittime di mafia, Fabio Repici); il suo nome è entrato nelle indagini sulla strage di Capaci, sull’omicidio del Procuratore di Torino Bruno Caccia, sull’omicidio del medico Attilio Manca, sull’autoparco di Via Salomone a Milano e nell’indagine della Procura di Palermo denominata “Sistemi Criminali” (indagato insieme a personaggi del calibro di Totò Riina, Bernardo Provenzano, Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie).

Abbiamo atteso più di quarant’anni prima che questo criminale venisse finalmente condannato in via definitiva per mafia. Attendiamo nuovamente, indignati, che questa ennesima udienza in Cassazione metta, una volta per tutte, la parola fine sulla condanna per mafia di Rosario Pio Cattafi, confidando che non si trasformi in un inaccettabile quarto grado di giudizio.

Salvatore Borsellino (fratello del magistrato Paolo Borsellino)
Nunzia e Flora Agostino (sorelle del poliziotto Antonino Agostino)
Paola Caccia (figlia del magistrato Bruno Caccia)
Pasquale Campagna (fratello della diciassettenne Graziella Campagna)
Roberta Gatani (nipote del magistrato Paolo Borsellino)
Angela Gentile Manca (madre del medico Attilio Manca)
Brizio Montinaro (fratello di Antonio Montinaro, poliziotto e caposcorta di Giovanni Falcone)
Stefano Mormile (fratello dell’educatore penitenziario Umberto Mormile)

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