Televisione

Eleonora Daniele a FQMagazine: “Dottori in corsia è un contenitore umano che si muove insieme verso il bene. Il dolore? È un’opportunità, l’ho provato sulla mia pelle”

La giornalista è voce narrante delle storie dei piccoli pazienti dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù protagonisti di "Dottori in corsia", la docuserie in onda per sei settimane dal 19 febbraio in seconda serata su Rai3

di Emanuele Corbo

L’impatto della malattia nella vita di tutti i giorni, il miracolo della medicina odierna e la lotta dei piccoli pazienti ospiti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù: questi gli ingredienti di Dottori in corsia, la docuserie ideata da Simona Ercolani e Coralla Cicciolini prodotta da Stand By Me in collaborazione con Rai Fiction. La seconda parte della sesta stagione ha debuttato il 19 febbraio in seconda serata su Rai3 segnando un ragguardevole 4.5% di share, e andrà avanti per altre 5 settimane con due episodi per puntata. Ad accompagnare i familiari e lo staff medico nel racconto della lotta alla malattia è Eleonora Daniele, che a FQMagazine ha spiegato perché è così orgogliosa di far parte di quello che non esita a definire come autentico esempio di “programma del servizio pubblico”.

Qual è il valore aggiunto di Dottori in corsia?
Sono tanti. È un racconto emotivo ma rispettoso del dolore delle persone ed entra in punta di piedi nella vita di famiglie intere: non solo quella del paziente ma anche del medico e di tutti coloro che stanno intorno al malato. In una società individualistica dove ognuno è lasciato da solo, assistiamo ad un contenitore umano e sociale che si muove insieme verso il bene, e questa è una cosa bellissima di cui abbiamo bisogno. L’altro valore aggiunto è l’informazione: se sei genitore di un bambino malato sai di avere un centro di eccellenza dove non solo ti puoi informare ma trovare un punto di riferimento, e – questo lo dico da madre – è fondamentale. Il Bambino Gesù è un ospedale che tutto il mondo ci invidia e nel quale vengono curati bambini provenienti da ogni dove.

È abituata a mettere le storie degli altri al centro dei suoi programmi, ma ci sono differenze nel farlo con storie di questo tipo? Ha dovuto “prendere le misure” inizialmente?
No, racconto storie di tutti i generi da tempo, sono abituata. Sicuramente però una madre che combatte per aiutare il proprio figlio ti lascia il segno da un punto di vista emotivo.

Raccontare il dolore può essere un campo minato, soprattutto in tv. Come si è approcciata alle famiglie dei pazienti?
La cosa che emerge da queste storie è la speranza e la forza di madri che lottano contro tutto e oltre tutto. Io mi sono semplicemente messa in ascolto delle loro storie.

C’è una vicenda che le è rimasta nel cuore più delle altre?
Tutte, perché sono madri che hanno lasciato ogni cosa per seguire anche fisicamente i loro figli pure una volta usciti dall’ospedale. Come un bambino che per respirare aveva continuamente bisogno dell’aiuto della mamma che, di fatto, è diventata un’infermiera. Pensiamo sempre al lavoro, alla carriera: il sacrificio di queste donne che destinano tutta la loro vita alla cura dei loro figli da una parte è sconvolgente, dall’altra è la totalità dell’amore.

Da mamma di una bambina di 4 anni questa esperienza ha influito sul suo modo di vedere la vita?
Sicuramente sì, ogni tanto mi immedesimo in queste madri e non so se sarei riuscita a fare quel che hanno fatto loro. Avendo vissuto l’autismo in casa e visto mia mamma per tanti anni sacrificarsi posso comprendere bene quello che vivono queste famiglie. Da parte mia c’è empatia, non tanto come madre perché Carlotta fortunatamente è una bambina che va da sola, ma da sorella e familiare di un soggetto disabile quale è stato mio fratello.

Proprio perché conosce bene la materia del dolore in famiglia, crede che la sofferenza possa essere anche un’opportunità?
Mi sono accorta che era un’opportunità quando è morto mio fratello. Quando sei dentro la sofferenza non te ne accorgi, dopo ti rendi conto che ti ha dato un sacco di opportunità: di crescere come spirito e anima, come persona, di conoscere situazioni e mondi a cui altri non possono accedere semplicemente perché non guardano oltre la barricata. Quel che ho sempre cercato di dire a queste famiglie è che anche nella sofferenza c’è un percorso di vita disegnato da Dio, un arricchimento che magari per gli uomini non è sempre comprensibile però da un punto di vista spirituale lo è. Se nel tuo percorso di vita il destino ha preso determinate vie forse è perché quel percorso andava fatto.

E dai giovani pazienti che cosa ha imparato?
Nei loro confronti provo una profonda tenerezza perché c’è l’identificazione con mia figlia. Grazie a loro ho allargato le maglie della mia sensibilità. Questi bambini ti spaccano il cuore.

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