Quattordici anni e quattro mesi di carcere. È la pena chiesta dalla Procura di Palermo per Giovanni Luppino, l’autista di Matteo Messina Denaro, arrestato insieme al boss il 16 gennaio del 2023. L’uomo è accusato di associazione mafiosa. Il processo si celebra in abbreviato. L’accusa in aula era rappresentata dal pm della Dda Piero Padova.

Imprenditore agricolo di Campobello di Mazara, Luppino venne indagato per favoreggiamento, ma la sua posizione si è aggravata nel corso delle indagini: quello che appariva come un “semplice” fiancheggiatore, infatti, è accusato di aver chiesto il pizzo per conto dello stesso boss di Castelvetrano. “Mi propose un incontro dicendomi di lasciare a casa il cellulare e poi mi chiese un aiuto economico per Messina Denaro”, ha raccontato in aula un imprenditore a cui l’imputato aveva richiesto somme per il boss. “Io rifiutai – ha aggiunto il testimone rispondendo alla domande del pm – Dissi che certe cose non le facevo e che se fosse accaduto qualcosa a me o ai miei familiari sarei andato dai carabinieri”.

Al gup che lo processa Luppino aveva raccontato invece che a presentargli Messina Denaro come suo cugino, nel 2020, era stato un compaesano, Andrea Bonafede, cioè il geometra che prestò l’identità al capomafia. Il presunto cugino di Bonafede gli avrebbe chiesto di accompagnarlo a Palermo per delle cure. Un giorno, però, il passeggero, conosciuto col nome di Francesco Salsi, si sentì male durante uno dei viaggi per il capoluogo e all’invito di Luppino di andare in ospedale avrebbe detto: “Portami a casa, sono Messina Denaro non posso andare in ospedale”.

Da allora “per ragioni umanitarie”, sapendo che il boss era gravemente malato, l’imputato l’avrebbe continuato ad accompagnare Messina Denaro alle terapie. Il padrino gli avrebbe di volta in volta lasciato nella cassetta delle poste un biglietto con l’orario dell’appuntamento successivo. Racconti che, per gli inquirenti, farebbero acqua da più parti. Dalle analisi delle celle telefoniche dell’autista, che aveva anche stretti rapporti con l’amante del padrino, Laura Bonafede, risulta, che questi avrebbe portato il capomafia in clinica per ben 50 volte in due anni.

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