Moda e Stile

Levi’s fa causa a Cucinelli: “L’etichetta dei jeans è quasi identica”. La replica dell’imprenditore umbro: “Per me sono un mito, rispettiamo l’unicità”

Questa non è la prima volta che Levi Strauss si trova coinvolto in una battaglia legale di questo genere. Nel 2018, il marchio americano citò in giudizio Kenzo, seguito nel 2019 da un'altra disputa con Saint Laurent, sempre basate sulla violazione del trademark dell'etichetta

di Ilaria Mauri

È battaglia legale nel mondo della moda dopo che Levis Strauss ha citato in giudizio Brunello Cucinelli, l’imprenditore umbro produttore di abbigliamento di lusso. Al centro dello scontro c’è l’iconica etichetta rettangolare che tradizionalmente il brand americano cuce sul retro dei suoi jeans: secondo l’accusa, Cucinelli avrebbe applicato una versione “quasi identica” di questa etichetta sui propri capi, scatenando una violazione del trademark registrato da Levi’s nel lontano 1938.

Martedì scorso, la denuncia è stata depositata presso il tribunale federale di San Francisco: nei documenti citati dalla Reuters si legge che l’azienda italiana “si è illecitamente appropriata della famosa etichetta con il marchio di LS&Co. come simbolo dei loro capi di abbigliamento”. Per sostenere le proprie argomentazioni, Levi Strauss ha presentato al tribunale ben quattordici fotografie che mostrano capi di abbigliamento Brunello Cucinelli con etichette simili a quelle che caratterizzano da sempre i jeans Levi’s. L’azienda americana sostiene che questa somiglianza potrebbe confondere i consumatori, determinando perdite di vendite e causando un danno reputazionale “incalcolabile e irreparabile”. Non solo, ha aggiunto anche che “malgrado i ripetuti tentativi di risolvere la questione senza adire le vie legali, la convenuta si è rifiutata di impegnarsi a cessare l’uso dell’etichetta Brunello Cucinelli, e ora continua a promuovere e vendere questi capi di abbigliamento controversi”. La richiesta avanzata da Levi Strauss include non solo il ritiro immediato dal mercato dei prodotti coinvolti, ma anche il risarcimento danni, sebbene al momento non sia specificato l’importo richiesto.

Da parte sua, Brunello Cucinelli ha replicato dalle pagine di Wwd precisando che “ha sempre valorizzato l’originalità delle sue creazioni e l’integrità delle pratiche aziendali”. L’imprenditore di Solomeo ha sottolineato poi che “tali elementi, presenti su un numero molto limitato” dei manufatti, “rappresentano un ornamento unico, progettato esclusivamente per scopi estetici“. “Si distinguono – ha aggiunto – per lunghezza, forma e posizione diverse sui vari capi su cui sono stati apposti e non incorporano mai il logo o il nostro brand”. Cucinelli ha quindi affermato di “essere cresciuto con il mito dei jeans Levi’s. Credo che abbiano rappresentato per intere generazioni – ha detto – l’idea del sogno americano unito ad un gusto unico ed inimitabile. Ho iniziato ad indossarli da quando ero ragazzo ed ho continuato a farlo nel corso degli anni. Prima di realizzare il nostro total look, utilizzavamo i Levi’s a completamento degli outfit, a riconferma della grande ammirazione che ho sempre avuto per questo brand iconico ed intramontabile“.

“La nostra intenzione – ha ribadito l’imprenditore – non è mai stata, né lo sarà mai, quella di sfruttare o violare i marchi o le idee altrui. Comprendiamo il valore della proprietà intellettuale e rispettiamo l’unicità di ogni marchio sul mercato. Pur prendendo atto delle preoccupazioni sollevate, crediamo che non vi sia alcun rischio di confusione per nessun cliente nel mondo. La decorazione che usiamo si presenta come diversa per design e scopo e appare evidente che non si tratta di un marchio, ma di un abbellimento ornamentale. Ho sempre vissuto e lavorato – ha concluso Cucinelli – con l’idea che mi ha trasmesso il grande pensatore Popper quando dice: ‘colui che copia non è quasi mai nel giusto”.

Questa non è la prima volta che Levi Strauss si trova coinvolto in una battaglia legale di questo genere. Nel 2018, il marchio americano citò in giudizio Kenzo, seguito nel 2019 da un’altra disputa con Saint Laurent, sempre basate sulla violazione del trademark dell’etichetta. Secondo quanto riportato da Reuters, entrambi i casi si conclusero con un accordo tra le parti.

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