di Matteo Maria Macrì

Fin da piccolo mi è sempre stata prospettata l’esistenza di due strade nella vita. Una lastricata di merito, impegno, sacrificio, successo e ricchezza. Un’ altra lastricata di demerito, pigrizia, biasimo e povertà.

Davanti a queste due strade ho sempre provato un senso di angoscia, dovuto alla paura di imboccare la seconda, convinto che il mio destino dipendesse in massima parte dalle conseguenze delle mie azioni e dei miei sforzi. Così mi sono impegnato, ho studiato e sono “diventato dottore” ergendomi al di sopra delle teste di altri ragazzini. Mi piaceva pensare che le mie piccole conquiste fossero tutto frutto del mio impegno e delle mie capacità. Provenendo dal basso dovevo per forza essermele meritate. Non vi era margine di errore.

Ma una sensazione di menzogna e di disagio si è sempre annidata in me, facendomi sentire un impostore. Un residuo del ragazzino spaventato del suo futuro. Lui, essendo uno stupido ragazzino, non escludeva che se non fosse stato per tante fortunate coincidenze, sarebbe potuto benissimo diventare un parcheggiatore abusivo. Nel corso della mia vita professionale questa retorica del merito si è fatta sempre più forte. Più salivi nella scala gerarchica e più il merito ammantava i vincenti. Curriculum stellari, esperienze lavorative esclusive, pubblicazioni, tutto serviva a infiocchettare il proprio status di privilegiato e legittimarlo agli occhi di chi stava in basso. Anche io ho banchettato a questo tavolo e me ne sono beato. Ma quella sensazione di impostura non se ne andava. Dentro di me ero sempre quel ragazzino spaventato davanti a due strade. Immerso in questi pensieri, leggo le notizie della settimana.

Renzi conferenziere di successo che parla e straparla di qualunque argomento in giro per il mondo per enormi somme di denaro. Ferragni che lancia campagne di presunta beneficenza in cambio di cachet milionari. Così mi viene da fare una riflessione. Partiamo dall’ovvio: Renzi sfrutta in modo spudorato le sue credenziali di ex premier per vendere la sua immagine a gente interessata solo a quello che rappresenta, facendo passare i suoi servizi a pagamento per i meritati allori di una persona oltremodo degna e capace. Analoghe considerazioni per Ferragni che verosimilmente si reputa più che meritevole di cachet milionari.

Ma cosa accomuna due personaggi di siffatta levatura con un provinciale uscito dalla miseria per essere diventato sostanzialmente un operaio specializzato? Per rispondere voglio usare direttamente le parole di M. Sandell nel libro “La Tirannia del merito”, che ha ispirato questa riflessione: “La tracotanza meritocratica riflette la tendenza dei vincitori a godere troppo del proprio successo, dimenticandosi della fortuna e della buona sorte che li ha aiutati nel proprio cammino. Quanti stanno ai vertigini si compiacciono di essersi meritati il proprio destino, così come sono convinti che quanti stanno in basso si sono meritati il loro“.

Ecco cosa ci accomuna. Questa tracotanza, questa errata convinzione che avvantaggia chi possiede le credenziali del “vincente” a scapito di una maggioranza umiliata e lasciata sola e senza speranza, immersa nella vergogna oltre che nella miseria. “La percezione viva della contingenza del nostro destino porta a una buona dose di umiltà, ma una meritocrazia perfetta bandisce qualsiasi concezione di dono o grazia e inibisce l’attitudine a considerare noi stessi parte di un destino comune, lasciando poco spazio alla solidarietà, che potrebbe sorgere nel momento in cui riflettiamo sulla precarietà del nostro talento e delle nostre fortune”.

Vedere Renzi e Ferragni è come guardarsi allo specchio con gli occhi di quel ragazzino e provare vergogna verso la propria cecità, il proprio egoismo e il male che facciamo quando giudichiamo il prossimo dall’alto dei nostri “Meriti”. Le conseguenze di questa “meritocrazia” sono ormai sotto gli occhi di tutti e sono catastrofiche. Sarà dura. Mi auguro almeno di riuscire a cambiare me stesso.

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