Alla fine del discorso ha gettato acqua sul fuoco, spiegando che “ci sono indicazioni che l’economia dell’area euro potrebbe non essere sull’orlo di una recessione profonda o prolungata“. Ma subito prima Isabel Schnabel, membro del board esecutivo della Bce, durante la conferenza sull’inflazione organizzata insieme alla Federal Reserve Bank di Cleveland ha descritto un quadro dell’economia europea da brividi: “Nel settore manifatturiero, l’attività e il volume degli ordini sono crollati drasticamente a livelli tipicamente osservati solo nelle recessioni profonde“, e “la debolezza si è gradualmente diffusa” anche ai servizi, nonostante la loro “forte domanda repressa è stata finora in grado di compensare il freno alla crescita proveniente dall’industria”. Non abbastanza, secondo l’economista tedesca, favorevole a forti aumenti dei tassi per contenere l’inflazione: “Una politica monetaria sufficientemente restrittiva è essenziale affinché l’inflazione ritorni tempestivamente al 2%, com’era nostro obiettivo. Non possiamo prevedere dove sarà il picco del tasso, o per quanto tempo i tassi dovranno essere mantenuti a livelli restrittivi”, ha avvertito il “falco”. “Inoltre, non possiamo impegnarci in azioni future, il che significa che non possiamo barattare la necessità di un ulteriore inasprimento della politica monetaria oggi con la promessa di mantenere i tassi a un certo livello per un periodo più lungo”.

Nessuna tregua sui rialzi, dunque. O meglio: tutto dipenderà dall’evoluzione dei dati. “Se dovessimo ritenere che l’orientamento della politica monetaria non sia coerente con un tempestivo ritorno dell’inflazione al nostro obiettivo del 2%, sarebbe giustificato un ulteriore aumento dei tassi di interesse” mentre “al contrario, se la nostra valutazione della trasmissione della politica monetaria dovesse suggerire che il ritmo della disinflazione sta procedendo come desiderato, potremmo permetterci di aspettare fino al nostro prossimo incontro per raccogliere ulteriori prove su come il rallentamento della domanda aggregata si trasmetterà ai prezzi e ai salari“, con l’usuale meccanismo di trasmissione che prevede di mandare in crisi l’economia per “raffreddare i prezzi”. Purtroppo questa fase non sarà rapida: dai verbali della riunione del board del 26-27 luglio emerge che “il periodo entro il quale la Bce si aspetta di vedere l’inflazione ritornare al livello target si è spostato dall’ultimo trimestre del 2024 al 2025”. E “anche se anticipare questa tempistica potrebbe richiedere di deprimere l’attività economica in misura non necessaria”, i membri del board hanno ritenuto “importante non allungare l’orizzonte temporale oltre il 2025”.

La linea dura è confermata nonostante alla congiuntura debole si sommi, come ha aggiunto Schnabel, una politica fiscale che diventerà più restrittiva allineandosi così a quella monetaria, “poiché i governi si sono impegnati a ridurre le misure di sostegno energetico e si prevede che intraprenderanno un graduale consolidamento fiscale in linea con le indicazioni della Commissione Ue”. L’autunno sarà insomma difficilissimo, anche se, secondo l’economista, “un segnale incoraggiante è il visibile miglioramento della fiducia dei consumatori rispetto ai mesi precedenti”, migliorata grazie “all’elevata crescita” dei salari e al calo dei prezzi dell’energia. Non così in Italia, dove sia la fiducia dei consumatori sia quella delle imprese sono in calo.

Intanto anche la Cina è in deciso rallentamento: Fitch ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del Pil 2023 della Repubblica popolare al 4,8%, dal 5,6% stimato nel suo Global Economic Outlook di giugno, a causa della “spinta dalla rimozione delle restrizioni anti-Covid 19 che sembra affievolirsi”. Oltre al fatto che l’indebolimento del settore immobiliare “continuerà a pesare sulla domanda interna attraverso l’impatto su edilizia e famiglie”.

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