Sono state accertate decine di estorsioni svelando così la presenza costante delle famiglie mafiose nella vita del mandamento. I carabinieri del Nucleo investigativo del Reparto operativo di Palermo hanno così notificato 11 ordinanze di custodia cautelare, di cui 8 in carcere e 3 agli arresti domiciliari con applicazione del braccialetto elettronico, nei confronti di boss (alcuni dei quali già detenuti), gregari ed estortori del mandamento mafioso di Tommaso Natale, nel capoluogo siciliano.

Le famiglie – Le accuse per gli arrestati sono, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione con l’aggravante del metodo mafioso e tentato omicidio aggravato. L’inchiesta – coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Marzia Sabella – fa luce sull’organigramma, le dinamiche e gli affari del mandamento mafioso di Tommaso Natale a cui appartengono le “famiglie” di Partanna Mondello, Tommaso Natale e Zen-Pallavicino.

Il genero dello storico capomafia – La misura cautelare è stata notificata in carcere al vecchio boss Michele Micalizzi. Dopo aver scontato una condanna a 20 anni e dopo una breve parentesi a Firenze, è tornato a Palermo al vertice della famiglia mafiosa di Partanna Mondello. Il 73enne, nemico giurato del boss Totò Riina, è il genero dello storico capomafia Rosario Riccobono, assassinato dai corelonesi durante la seconda guerra di mafia. Anni di esperienza nel narcotraffico, rapporti strettissimi con i trafficanti thailandesi, il padrino alla guida del clan si serviva di fedelissimi come Gianluca Spanu e Francesco Adelfio. Micalizzi si muoveva con cautela per sfuggire alle indagini, certo che i carabinieri lo stessero tenendo d’occhio. In una intercettazione con il boss Tommaso Inzerillo chiedeva: “Ci ascoltano? Sicuro sei?”. E l’interlocutore gli rispondeva: “Al 99 per cento”. Allora Micalizzi ricordava come i “cugini” mafiosi americani erano riusciti a eludere le “cimici”. “Gli americani erano sofisticati – spiegava – entravano nei negozi si spogliavano, compravano vestiti nuovi, scarpe nuove perché glieli infilavano pure nei tacchi delle scarpe (le microspie ndr) e i vestiti li buttavano e li arrotolavano dentro i sacchi e se ne andavano in campagna a parlare”.

Il furto dell’auto della moglie – Come accertato durante le indagini, l’8 settembre del 2021 viene rapinata la moglie del boss Micalizzi. Dei banditi, evidentemente all’oscuro dell’identità della vittima, entrano in azione allo Zen e rubano l’auto della donna. Il capomafia in due ore scopre gli autori del colpo e li punisce. Per il gip si tratta di una “plateale dimostrazione del potere criminale” del mafioso. I rapinatori vengono costretti a riconsegnare l’automobile alla moglie del capomafia. Ma prima uno dei responsabili viene selvaggiamente malmenato dagli uomini del boss. Il figlio di Micalizzi, Giuseppe, e un complice rassicurano il capomafia e la moglie, presenti vicino al luogo del pestaggio, di aver dato una dura lezione al bandito. “Tu mi devi dire grazie…sei vivo…l’ho macinato…l’ho ammazzato”, dice non sapendo di essere intercettato.

Il tentato omicidio del fratello – L’inchiesta ha anche fatto luce su un tentato omicidio. Carmelo Cusimano cercò di uccidere il fratello Anello a coltellate per dissapori familiari. Per ricomporre i dissidi che avevano portato al delitto intervennero le figure più carismatiche del mandamento. E’ la stessa vittima, intercettata mentre incontra in carcere il terzo fratello Giuseppe, reggente del clan dello Zen, a raccontare l’aggressione. E il boss detenuto non nasconde la sua rabbia verso il familiare. ” Non ho più un fratello che si chiama Carmelo, appena esco lui sarà il primo”, dice facendo intendere propositi di vendetta. La vittima continua nel suo racconto dell’aggressione e riferendo le parole del fratello Carmelo dice: “A te appettavo” e con le mani indica la lunghezza del coltello. Lo stesso autore del gesto, intercettata, ammette tutto: “No, io ci sono andato per ammazzarlo“.

Le estorsioni – Gli investigatori, che si sono serviti di tecnologie sofisticate di intercettazione, sono riusciti così a superare le continue cautele messe in atto dagli indagati per sfuggire alle indagini. Gli inquirenti hanno scoperto i canali attraverso i quali il clan comunicava con le altre cosche, accertato decine di estorsioni. Le intercettazioni hanno fatto luce su diversi episodi, molti dei quali a carico di ristoratori delle borgate marinare di Sferracavallo e Mondello, costretti a pagare qualche centinaia di euro o a subire l’imposizione di servizi di vigilanza e delle forniture di pesce e frutti di mare. “Io ci faccio la sicurezza nei chioschetti. Qui comandiamo noi”, diceva uno degli indagati. boss dirimevano liti tra i cittadini e tutelavano gli interessi dei commercianti che pagavano il pizzo in cambio della protezione. Nel mandamento mafioso di Tommaso Natale “si perpetua il vecchio e spregevole sistema secondo cui l’imposizione estorsiva costituisca l’unica alternativa perché gli esercenti possano svolgere le proprie attività, con un paradossale affidamento sulle capacità della famiglia mafiosa di fornire sicurezza e protezione”. E’ quanto scrive il gip di Palermo Fabio Pilato nella misura cautelare. Solo lunedì scorso la procura di Palermo aveva chiesto e ottenuto dal gip 18 misure cautelari per esponenti del clan di Resuttana, mandamento confinante con quello colpito dal blitz di oggi.

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