Quando cominciano le stragi? Il 23 maggio del 1992 con la bomba di Capaci? O due mesi prima, il 12 marzo, con l’omicidio di Salvo Lima? No, cominciano prima. Almeno secondo Maurizio Avola, un “bravo ragazzo” della famiglia Santapaola di Catania, uno che ha ucciso 80 persone, prima di saltare il fosso e collaborare con la magistratura. “Sono stato coinvolto nella strategia stragista dall’inizio, a partire dal 1991. Io ho partecipato all’omicidio del dottor Scopelliti, che doveva prendere in Cassazione il Maxiprocesso di Palermo”, ha detto Avola, testimoniando al processo sulla ‘Ndrangheta stragista di Reggio Calabria. È con questa rivelazione dell’ex picciotto di Catania che comincia L’omicidio Scopelliti, il podcast del giornalista Massimo Brugnone, prodotto con il patrocinio della fondazione Antonino Scopelliti. Sono sei puntate, ascoltabili gratuitamente su tutte le principali piattaforme, che riscrivono la storia di un delitto irrisolto.

Mixando sapientemente contributi d’archivio e interviste a testimoni, magistrati, giornalisti e storici, il podcast di Brugnone riscotruisce la storia di Scopelliti, il sostituto procuratore generale che doveva rappresentare la pubblica accusa in Cassazione al Maxiprocesso. Doveva essere l’atto finale del lavoro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che nel 1987 erano riusciti a far condannare per la prima volta il gotha di Cosa nostra all’ergastolo. Un cambio di paradigma: i mafiosi avevano sempre messo in conto di passare qualche anno in carcere, durante la loro carriera criminale. Il fine pena mai, però, è un’altra cosa. Raccontano i pentiti che le sentenze del Maxi scatenano la furia di Totò Riina. Il capo dei capi, però, è consapevole del fatto che quelle sentenze dovevano prima diventare definitive. Cosa nostra si mette in moto, ma non può evitare la conferma in Appello di gran parte di quelle condanne. La partita, dunque, si sposta a Roma, alla Corte di Cassazione dove tante volte in passato le sentenze sui mafiosi erano diventate carta straccia.

È in Cassazione che lavora Scopelliti, un magistrato di 56 anni con alle spalle una profonda esperienza. Aveva già rappresentato la pubblica accusa in processi importanti: quello sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, quello sulla strage di piazza Fontana, quello sulla bomba a bordo del treno Rapido 904. Nell’estate del ’91 sta iniziando a preparare la richiesta per il rigetto dei ricorsi degli avvocati dei mafiosi. Quelli sono mesi concitati: Falcone è andato a lavorare al ministero della Giustizia e in via Arenula comincia a studiare le sentenze della Cassazione: si accorge che tutti i processi dei mafiosi finiscono sempre sul tavolo dello stesso giudice. Per questo motivo chiede a ottiene dal guardasigilli dell’epoca, Claudio Martelli, d’introdurre un meccanismo di rotazione: i processi di mafia non devono più finire sempre sul tavolo della stessa sezione. Nel frattempo, però, anche Cosa nostra si muove. È il 9 agosto del 1991 e Scopelliti si trova in Calabria, la Regione dove è nato e dove torna per le vacanze. Sta rientrando da una giornata al mare, quando due killer a bordo di una moto sparano col fucile contro la sua Bmw. Il magistrato muore sul colpo, perde il controllo dell’auto, che esce di strada: all’inizio c’è chi pensa addirittura a un incidente stradale. Ma quello, però, non è un incidente stradale: è un omicidio di mafia. Peggio: è un omicidio deciso da Cosa nostra insieme alla ‘ndrangheta. Un delitto che apre la stagione delle stragi. Chissà, forse è proprio per questo motivo che per troppo tempo quell’assassinio è stato dimenticato. E ancora oggi è impunito: due processi, finiti in primo grado con pesanti condanne per la Cupola di Cosa nostra, sono stati stravolti dalle assoluzioni in Appello. Poi, però, sono arrivati i pentiti. E hanno spiegato che l’omicidio Scopelliti non solo l’uccisione di un giudice, ma è il prequel delle stragi.

È questo che racconta Brugnone, podcaster di talento e in passato attivista dell’associazione Ammazzateci tutti. È nei ranghi dell’attivismo antimafia che Brugnone conosce Rosanna Scopelliti, la figlia del magistrato assassinato. “Sono diventato amico di Rosanna nel 2007 – dice il giornalista – la storia di suo papà è diventata la mia storia, una storia che non ha mai avuto la rilevanza che meritava”. È la voce di Rosanna Scopelliti a raccontare – tra le altre cose – il legame strettissimo che legava suo padre a Giovanni Falcone. “Forse – spiega – era la persona con cui papà stava di più al telefono”. Dopo l’omicidio Scopelliti, Falcone va in Calabria a trovare la famiglia del collega appena ucciso. La prima persona che incrocia è Francesco, il fratello di Scopelliti, che gli rivolge queste parole: “Giovanni, Giovanni… te la sei scampata. Ninuzzo è morto”. Falcone risponde con una delle sue frasi amare: “Franco, il prossimo sarò io“. Forse, quando pronuncia quelle parole, il giudice siciliano ha già capito una cosa: con l’omicidio Scopelliti sta per cambiare la storia. Il 30 gennaio del 1992 la Cassazione conferma le condanne del Maxi e Cosa nostra reagisce. Il 12 marzo viene ucciso Salvo Lima, simbolo dei politici che non potevano più garantire protezione alla Piovra. A maggio tocca a Falcone saltare in aria: cominciano le stragi. Bombe e omicidi che hanno una particolarità: sono sempre rivendicati da una fantomatica sigla, quella della Falange Armata. Una firma oscura, che era comparsa pure per rivendicare l’omicidio Scopelliti. Non era solo un delitto, era l’inizio delle stragi.

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