“In mare il capitano è la legge ed è il capitano che deve decidere se quelle persone sono in pericolo e metterle in salvo. Non deve aspettare l’ok di nessuno per salvare le persone, deve solo comunicare alle autorità”. Così parla Oscar Camps, fondatore di Open Arms. È un passaggio della lunga deposizione dello spagnolo nell’aula bunker di Palermo, durante il processo a carico di Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e di rifiuto d’atti d’ufficio per i fatti che riguardano lo sbarco dei migranti a bordo della Open Arms, nell’agosto del 2019. Camps, incalzato da Giulia Bongiorno, legale del leader del Carroccio, ha sottolineato come la nave della Open Arms non dovesse aspettare l’autorizzazione di Malta per salvare i migranti in stato di emergenza a bordo di un’imbarcazione in mare.

Una testimonianza che ha portato il processo a carico di Salvini, iniziato ormai da un anno e 9 mesi (la prima udienza è stata nell’ottobre del 2021), nel cuore della questione sul salvataggio di essere umani. E sono stati diversi i particolari emersi durante la testimonianza dello spagnolo che hanno fatto chiarezza su alcuni dettagli significativi. Camps, per esempio, ha chiarito il perché la nave della Open Arms, una volta salpata da Siracusa con rotta Lampedusa, cambiò improvvisamente direzione: “Dovevo arrivare io a Lampedusa per portare il depuratore dell’acqua ma poi non partii più perché nacque mia nipote e restai in Spagna”, ha raccontato Camps. Per la nave spagnola, dunque, non c’era più motivo di andare a Lampedusa. L’armatore spagnolo ha anche rivelato di essersi rivolto in quei giorni direttamente ad Angela Merkel, scrivendole due mail (una il 7 e l’altra il 16 agosto), chiedendo l’intervento della Commissione europea: “Vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per assicurarci che ci venga assegnato un porto in cui sbarcare“, scriveva il fondatore della Ong rivolgendosi direttamente alla cancelliera tedesca, alla quale riferì di una situazione umana “catastrofica” e di una situazione a bordo “insopportabile”. La Merkel gli rispose “con una mail molto diplomatica, dicendo che era al corrente della situazione e prendeva l’impegno di parlarne alla Commissione europea”, ha riferito Camps.

In quei giorni in cui la nave di Open Arms rimase al largo di Lampedusa senza possibilità di sbarcare per il divieto firmato da Salvini di ingresso nelle acque italiane, intervenne anche Richard Gere: “Ci contattò chiedendoci cosa poteva fare per aiutarci. Gli abbiamo detto che serviva che venisse a Lampedusa. Gere salì a bordo della nave e portò cibo per i migranti a bordo”. Mentre l’armatore spagnolo ha chiarito anche un altro passaggio emerso durante il processo a Palermo. La legale Bongiorno, in una delle udienze precedenti, ha infatti rivelato che in quei giorni, durante il primo salvataggio, un sommergibile della Marina italiana navigava in quelle acque. Dal sommergibile furono fatti alcuni filmati del primo salvataggio del primo agosto (sono stati 3 in tutto) e fu intercettata una conversazione. Tra chi è avvenuta la conversazione e di cosa hanno parlato? “Tra il capitano che si trovava nel ponte e il marinaio che si trovava in coperta. Parlavano tramite una radio interna, di una luce di un apparecchio di pesca”. Non si riferivano, dunque, secondo la testimonianza di Camps, ad una operazione di salvataggio: “È stata una conversazione molto breve, si chiedevano di queste luci”. Una situazione drammatica, questo racconta Camps: “134 persone a bordo, tutti con malattie infettive, tutte le donne violentate, molta violenza fisica e segni di tortura, 17 giorni di navigazione in 35 metri quadri, nel mese di agosto, senz’acqua”.

Dopo il primo salvataggio Open Arms chiese di poter sbarcare a Malta e Italia: “Malta ci rispose subito di no, dall’Italia non avemmo nessuna risposta. C’era il decreto che impediva l’attracco. Aspettavamo che un giudice accogliesse il nostro ricorso sul decreto che ci impediva di sbarcare. Quando il tar ci ha dato ragione il comandante mi comunicò che c’era un’imbarcazione della guardia di finanza che ci impediva di entrare in acque italiane”. La situazione si sbloccò poi soltanto dopo l’intervento del procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che ordinò il sequestro della nave spagnola, che a quel punto entrò a Lampedusa.

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