“Un cat bond italiano? Probabilmente andrebbe a ruba”. Parola di Massimo Figna, fondatore e ceo di Tenax Capital, boutique di fondi di investimento tra i quali anche i cosiddetti “bond catastrofali” (o cat bond), strumenti nati a metà degli anni Novanta per trasferire i rischi assicurativi derivanti da catastrofi naturali quali terremoti e uragani sui mercati dei capitali, simili alle polizze riassicurative tradizionali ma cartolarizzati in bond, che vengono acquistati e scambiati tra investitori qualificati: quando va bene accumulano premi assicurativi e staccano ricche cedole, se si verifica il sinistro climatico predefinito oltre uno specifico livello, risarciscono gli assicurati compartecipando, insieme al pubblico, alla spesa per ricostruire e risarcire.

I cambiamenti climatici aumentano gli eventi naturali avversi per intensità e frequenza e lo si vede anche in Italia. Ma – come ricostruito da una approfondita disamina – solo il 5% delle case in Italia è coperto da assicurazione, e una frazione minimale di queste contro il rischio alluvioni e terremoti. Motivo per cui le (poche) polizze proposte costano un occhio della testa, e così sarà finché la politica non darà seguito alle (tante) promesse di trovare una soluzione strutturale al problema, tramite una partnership pubblico-privato, introducendo forme semi obbligatorie di copertura incentivate dallo Stato. Esattamente quel che succede in molti Paesi europei, ma non in Italia, che ha il record di proprietari di casa (70% delle famiglie) e quello negativo di polizze per assicurarle. Nel frattempo però ci sono altre vie da percorrere, come l’emissione di strumenti finanziari legati al rischio di eventi climatici avversi.

L’emissione di bond catastrofali, ad esempio, non è più appannaggio esclusivo di compagnie assicurative e riassicurative, ma ha iniziato ad attirare anche altri emittenti, tra cui organismi sovranazionali come la Banca Mondiale. Paradossalmente, questi strumenti sono più diffusi nei Paesi meno sviluppati, dall’Africa all’America Latina ma per un motivo semplice: sono fortemente esposti ad un alto rischio di catastrofi ma – a differenza di quelli più ricchi – non hanno autonoma capacità di risollevarsi; ragion per cui alla politica di finanziamenti post-evento si è abbinata quella di “raccolta” di capitali tramite appunto il mercato dei cat bond. Cosa che in Italia non avviene, ma ben potrebbe (e con beneficio per tutti), almeno secondo Massimo Figna, analista finanziario e primo operatore di hedge fund straniero autorizzato dalla Banca d’Italia a operare sul mercato italiano. Con Banca Intesa lo scorso ottobre ha sottoscritto un protocollo di intesa per un fondo da 300 milioni per le imprese italiane. Ma a ogni disastro si fa la stessa domanda: “Perché non un bond sul rischio Italia, a sponsorizzazione governativa?”.

Come funziona un cat bond?
Quando emetti un bond, supponiamo legato alle catastrofi in Messico, raccogli dagli investitori una certa cifra, poniamo un miliardo. Ecco, questo miliardo lo metti in una banca di deposito. Nel momento in cui non accade nulla, alla fine del contratto di deposito i sottoscrittori ottengono il rimborso del proprio capitale. Durante la vita del bond, l’emittente remunera gli investitori con una cedola periodica, relativa al rischio assicurativo catastrofale. Se invece il terremoto si verifica e genera un ammontare di danni che eccedono la soglia predefinita dal contratto, quei soldi vengono presi e utilizzati per la ricostruzione e per gli indennizzi. Il costo del finanziamento per la società emittente è giusto il premio assicurativo, il vantaggio per lo Stato è che in un contesto di climate change può aumentare il livello di copertura assicurativa e spendere meno. In Italia due compagnie, Generali e Unipol, hanno già emesso vari cat bond, ma è diverso se a farlo è uno Stato sovrano.

Perché non c’è un bond sul rischio Italia?
Finora in effetti hanno fatto ricorso a questi strumenti Paesi meno sviluppati come Messico, Cile, Filippine, Turchia, Colombia, Perù, solo per dirne alcuni. Poi ci sono alcuni Paesi dell’Africa subsahariana che si sono messi insieme per aumentare la loro “risk capacity”, coordinati dalla Word Bank. Ma il primo cat bond in un paese sviluppato a sponsorizzazione governativa vero e proprio è stato emesso tre anni fa in America per aiutare a coprire danni da alluvione. Benché si apprestino a compiere 25 anni, sono strumenti percepiti ancora come “nuovi”, di nicchia ed “esotici”; non al pari di una copertura riassicurativa che ha invece radici centenarie ed è una routine per il mercato assicurativo. Di fatto il cat bond non è che una riassicurazione, solo che anziché tramite una polizza, lo si fa nella forma di un bond.

Quali vantaggi di un bond sul “rischio Italia”?
L’italiano medio non è assicurato contro il terremoto, tanto meno contro l’alluvione. Come privato cittadino siamo a non più del 5%, forse meno. Un numero irrisorio visto che tra la Liguria la l’Emilia Romagna e il sud siamo uno Stato a rischio idrogeologico, climatico e sismico. E allora cosa succede? Il cittadino non si assicura perché pensa che dopo l’evento lo Stato intervenga stanziando fondi straordinari che però pagano tutti e non sono mai sufficienti. Ora, per avere diciamo così, un’efficienza economica, ossia per stanziare meno soldi, lo Stato potrebbe sponsorizzare una copertura riassicurativa, ad esempio tramite un cat bond. Un bond sul rischio Italia concorrerebbe a colmare questo vuoto di coperture e a diffondere una cultura della prevenzione su cui siamo da sempre in forte ritardo.

Lei investirebbe in un cat-bond italiano?
Io investirei e chiunque altro, probabilmente. La maggior parte del mercato dei cat bond è focalizzata sull’America, dagli uragani in Florida al terremoto in California. Gli investitori in questo settore cercano su tutto la diversificazione, perché è miscelando tutti i rischi che diventano sopportabili e convenienti. Per una ragione molto semplice: una crisi in California per gli incendi, è indipendente da un cataclisma alluvionale in Italia o un terremoto a Tokyo. Per questo sono convinto che se ci fosse un cat bond sul rischio Italia andrebbe a ruba. Ovviamente non parlo del mercato retail, dei singoli investitori, ma di quello istituzionale.

Qualcuno in Italia ha mai tentato questa strada?
Per la verità due compagnie di assicurazione, Generali e Unipol. Tecnicamente, non sono le società che emettono il bond, ma si appoggiano a un veicolo “off-balance sheet” che intermedia tra la società (in gergo, “sponsor” e gli investitori). Questi veicoli (detti SPV, “special purpose vehicle) sono solitamente creati in giurisdizioni ad efficienza fiscale come Bermuda, Cayman, Irlanda. Tra l’SPV e lo sponsor c’è un contratto di riassicurazione, in seguito l’SPV emette un bond per ammontare pari al valore massimo del sinistro assicurativo secondo il contratto di riassicurazione. Il bond è quindi acquistato da investitori professionali che effettivamente forniscono in anticipo la somma del sinistro. Se lo stato italiano sponsorizzasse un cat bond, non solo aumenterebbe la capacità di fornire aiuti immediati post-evento alla popolazione, senza gravare sull’erario, ma abituerebbe, indirettamente, i cittadini a confrontarsi con il tema della protezione dei propri beni, favorendo così un progresso culturale necessario in un contesto di grande incertezza e di rischi naturali sempre più ricorrenti.

Da 20 anni si parla di rendere obbligatorie le polizze sulla casa, cosa ne pensa?
Le coperture assicurative sulle case di proprietà in Italia sono essenzialmente quelle decennali sul nuovo, il resto è quasi del tutto scoperto. Su questo sarebbe necessario un intervento che renda le obbligatorie come con l’auto o fortemente incentivate. In un contesto simile, gli assicuratori correrebbero a farsi il bond per mitigare questo rischio. Ma vale anche nella situazione attuale in cui l’unica forma assicurativa è lo Stato che agisce come “assicuratore di ultima istanza”. A maggior ragione dovrebbe mitigare il rischio, ad esempio, emettendo il bond.

A proposito di rischio, cosa pensa delle società emittenti fallite?
E’ successo che alcuni sponsor di cat bond siano falliti, ma essendo i cat bond completamente collateralizzati ed emessi fuori dal perimetro dello sponsor, l’investitore recupera l’intero ammontare investito. Questo prova come l’unico rischio a cui l’investitore e’ esposto tramite i cat bond è il rischio catastrofale, e non il rischio di controparte verso lo sponsor. Di fatto, non c’è legame contrattutale tra investitori e sponsor, in quanto intermediati dal SPV.

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