Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha ragione! Quel che sta accadendo in Emilia-Romagna e nelle Marche è da imputare a “quel pezzo di cultura, anche ambientalista”, per la quale “è più facile dire no che sì alle opere”. Il disastro delle provincia di Cesena e quello di Forlì, come quello di Ravenna e Bologna? Colpa loro. Ma, sì, certo! Degli ambientalisti! Tutto quel che non si è fatto e del quale si parla ora, a disastro in atto, è ascrivibile a loro. A quelle centinaia di associazioni e comitati disseminate sui territori. Corazzate implacabili. E, soprattutto, invincibili. Capaci di dare scacco matto a Comuni e Regioni. Quasi sempre anche al Consiglio dei ministri, nelle circostanze nelle quali venga chiamato in causa.

Organizzazioni tanto potenti da rendere vane le richieste di società, pubbliche e private, di realizzare opere. Indubitabilmente strategiche. Strutture così potenti da avere la capacità di non tenere in nessun conto i pareri delle Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio chiamate in causa. E neppure i report sulla “tenuta” dei corsi d’acqua, come, tra gli altri, il Rapporto sulle condizioni di pericolosità da alluvione in Italia e indicatori di rischio associati, pubblicato da Ispra nel 2021.

Club con un patrimonio finanziario tanto solido da permettergli di organizzare manifestazioni di ogni tipo. Di intraprendere azioni legali, anche lunghe. Poco importa che si tratti di ricorsi al Tar, oppure al Consiglio di Stato. Di fare campagne pubblicitarie sfarzose. Il tutto, senza alcun sforzo. Lo scettro del potere, decisionale, è nelle loro mani. Degli ambientalisti. Che dicono sempre di “no”. A prescindere. In maniera ideologica. Senza entrare mai in merito. Dall’entroterra alla costa, romagnola e marchigiana. E ovunque nelle altre regioni.

Se non ci sono più parchi eolici, e neppure fotovoltaici, è a causa loro. Così come se tanti corsi d’acqua non sono stati messi in sicurezza, come richiesto a gran voce dai rispettivi ordine regionale dei geologi. Ma anche da esperti del settore.

Prendiamo il fiume Montone che a Forlì ha invaso anche l’autostrada A14. Anche a maggio 2019 il fiume è esondato allagando centinaia di case, colpendo oltre 160 ettari del territorio di Villafranca e San Martino in Villafranca. Dopo pochi giorni la Procura della Repubblica di Forlì-Cesena ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato, contro ignoti, per “inondazione colposa”. Il procedimento che vede coinvolti due dirigenti della Società autostrade ed un imprenditore è ancora in corso. In questo caso gli ambientalisti non sembrerebbero essere parte in causa. Ma lo sono, ugualmente. E’ certo!

Il torrente Senio in piena ha tracimato a Borgo Rivola, a Cotignola, a Tebano e a Bagnacavallo? Il fiume Lamone ha esondato a Faenza? Nella zona ha straripato anche il torrente Marzeno? E, ancora. Nel Forlivese hanno esondato anche i fiumi Rabbi e Ronco, che hanno rotto gli argini anche nella zona del Ravennate? Nella zona collinare, il torrente Voltre ha rotto gli argini a Teodorano? Il Savio, invece, ha esondato a Cesena? Le piogge torrenziali hanno avuto il loro “peso”, indubbiamente, ma poi sono risultate decisive le associazioni ambientaliste. Chi può dubitarne! D’altra parte, sono proprio loro a decidere. Sempre.

Se l’Emilia-Romagna e le Marche sono state devastate, in tante porzioni dei loro territori, la colpa è di comitati, associazioni e circoli. Che hanno stravolto con le loro scelte luoghi unici. Anche per questo andrebbero svuotati di rilevanza. Delegittimati. Proprio come da tempo si tenta con le Soprintendenze.

Povera Italia! Nella quale si vuole spacciare per reale quel che non lo è. Forse anche per questo è necessaria un po’ d’ironia. Nella consapevolezza che chi comanda davvero non la coglierà scambiandola per un plauso.

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