È stato dichiarato inammissibile l’emendamento del governo al decreto sul rafforzamento della pa che mirava a promuovere la parità di genere nel settore degli appalti pubblici. Dopo le polemiche per l’assenza nel nuovo Codice che sarà applicato da luglio di un riferimento esplicito nel testo al “bollino” di certificazione della parità e ai premi per le imprese che adottano politiche ad hoc (citate però in uno degli allegati a cui il provvedimento rimanda), l’esecutivo durante il cdm dell’11 maggio aveva presentato una proposta di modifica. Con l’obiettivo di “confermare, anche nell’ambito della nuova disciplina di cui Matteo Salvini rivendica la paternità, il riconoscimento di premialità in favore delle imprese che adottano politiche tese al raggiungimento delle parità di genere comprovata dal possesso della relativa certificazione rilasciata ai sensi dell’articolo 46 bis del codice delle pari opportunità tra uomo e donna”. Nella seduta delle Commissioni Affari costituzionali e Lavoro della Camera di martedì, però, i presidenti Nazario Pagano (Fi) e Walter Rizzetto (Fdi) hanno annunciato che quell’emendamento è tra quelli inammissibili per estraneità di materia. Il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani ha fatto sapere che, come quello sugli alloggi universitari, è stato già presentato alle Commissioni prima e quinta della Camera a cui è stato assegnato il decreto-legge n. 51/2023 “che è stato ritenuto il veicolo normativo più idoneo ad ospitarli per omogeneità di materia”.

Il problema delle quote di genere si sta ponendo in maniera rilevante nei bandi di gara finanziati dal Pnrr: una ricerca di Period Think tank sui dati aperti pubblicati da Openpolis, presentata pochi giorni fa, ha rilevato che il 96% non prevede misure premiali per la parità di genere e il 68% non dispone obblighi per una quota di occupazione femminile o giovanile. Nell’ambito dei bandi pubblici finanziati con le risorse del Recovery, il decreto legge 77/2021 ha introdotto il cosiddetto gender procurement, cioè norme per favorire l’inclusione lavorativa delle donne, dei giovani di età inferiore a 36 anni e delle persone con disabilità. Tra cui l’obbligo di assicurare che almeno il 30% delle assunzioni necessarie alla realizzazione dei progetti finanziati dal Pnrr sia destinato a donne e il 30% ai giovani e persone con disabilità. Le linee guida, pubblicate a dicembre, hanno però aperto la strada a numerose possibilità di deroga.

Come già segnalato dalla Corte dei Conti, gli obiettivi valgono solo “sui livelli di occupazione aggiuntiva nell’esecuzione dei lavori, e quindi prescindono dalla struttura occupazionale in essere” ma soprattutto la stazione appaltante ha facoltà di soprassedere nei casi in “l’oggetto del contratto, la tipologia o la natura del progetto o altri elementi puntualmente indicati ne rendano l’inserimento impossibile o contrastante con obiettivi di universalità e socialità, di efficienza, di economicità e di qualità del servizi”. Il che viene frequentemente invocato quando l’oggetto dell’appalto riguarda lavori edili e di costruzione, comparti in cui le donne sono poco rappresentate.

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