Esce di scena il riferimento esplicito al “bollino” di certificazione della parità di genere, rimangono sia la necessità di garantire le pari opportunità sia i meccanismi premiali per le imprese appaltatrici che li rispettano. È questo il punto di equilibrio individuato dal Consiglio di Stato nello schema di decreto attuativo del nuovo Codice degli appalti, ora all’esame delle commissioni parlamentari. Da giorni diverse parlamentari di opposizione denunciano la scomparsa nel testo dell’obbligo di presentare – al momento della partecipazione a una gara – il documento previsto dalla legge 162/2021 sulle pari opportunità, in cui le aziende con più di 50 dipendenti devono mettere nero su bianco quanti dipendenti donne hanno, in quali ruoli, con che contratto e quanto pagate rispetto agli uomini. L’Autorità nazionale anticorruzione (Anac), che vigila sui contratti pubblici e ha anche funzioni di consulenza per le stazioni appaltanti, fa notare che il combinato disposto tra gli articoli 61 e 102 e gli allegati continua comunque a prevedere garanzie. Anche se una lettura attenta della bozza di testo e degli allegati che ne fanno parte integrante lascia alcuni dubbi per il futuro.

Il governo Meloni, va ricordato, ha portato in cdm lo schema preparato dai giudici amministrativi sulla base della delega votata prima della caduta di Draghi, salvo alcune modifiche chieste dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e male accolte da Anac e costruttori. L’articolo 61 dice che le stazioni appaltanti “possono prevedere” nei bandi, negli avvisi e negli inviti “meccanismi e strumenti” idonei a realizzare le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione delle persone svantaggiate. Ma nell’Allegato II.3, a cui l’articolo 61 rimanda, si prevedono esplicitamente la consegna “a pena di esclusione” di una copia dell’ultimo rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile (la certificazione di parità, appunto) e l’inserimento nei bandi di gara, avvisi ed inviti di “specifiche clausole dirette all’inserimento, come requisiti necessari e come ulteriori requisiti premiali dell’offerta, di criteri orientati a promuovere l’imprenditoria giovanile, l’inclusione lavorativa delle persone disabili, la parità di genere e l’assunzione di giovani, con età inferiore a 36 anni, e donne“.

Quella frase ripropone, allargandole a tutti i lavori pubblici, le disposizioni del decreto Semplificazioni del governo Draghi relativi agli interventi del Pnrr. Di cui la certificazione della parità di genere è uno degli obiettivi. E ricalca il contenuto dell’articolo 95 del codice attuale (così modificato nella primavera 2022) stando al quale “le amministrazioni aggiudicatrici (…) indicano il maggiore punteggio relativo all’offerta concernente beni, lavori o servizi che presentano un minore impatto sulla salute e sull’ambiente (…) e l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere di cui all’articolo 46-bis del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198″ (il codice pari opportunità, ndr). Solleva qualche perplessità – fanno notare dall’Anac – solo il fatto che il tema sia stato inserito all’articolo 61, quello sugli “appalti riservati” a cooperative di integrazione sociale o agli operatori con almeno il 30% di lavoratori svantaggiati.

La questione viene però ripresa all’articolo 102 sugli Impegni dell’operatore economico, che non lascia spazi di interpretazione: “Nei bandi, negli avvisi e negli inviti le stazioni appaltanti, tenuto conto della prestazione oggetto del contratto, richiedono agli operatori economici di assumere i seguenti impegni“, si legge. E tra gli impegni c’è quello di “garantire le pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa per le persone con disabilità o svantaggiate”. La stazione appaltante “verifica l’attendibilità degli impegni assunti con qualsiasi adeguato mezzo (…) solo nei confronti dell’offerta dell’aggiudicatario”. Le richieste e gli impegni sono dunque vincolanti e obbligatori, nota Anac. Anche se lascia perplessi il fatto che essere donne o giovani sia una “caratteristica” equiparata alle disabilità.

Rispetto al Codice del 2016 ora in vigore viene però meno lo “sconto” automatico del 30% sulla garanzia provvisoria (cauzione o fideiussione pari al 2% del prezzo base indicato nel bando) richiesta agli operatori che hanno la certificazione di parità di genere, che al momento sono in questo modo equiparati a quelli in possesso di rating di legalità o attestazione del modello organizzativo come prevede la 231/2001. Il nuovo Codice prevede un massimo del 20% di riduzione per chi ha varie tipologie di certificazioni – tra cui quella – o marchi di qualità.

Resta un punto di domanda. L’articolo 61 prevede che, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del nuovo Codice, venga adottato via Dpcm o decreto del ministro per le pari opportunità un regolamento sostitutivo dell’Allegato II.3. Sarà quella la cartina di tornasole delle intenzioni del nuovo esecutivo sull’aspetto specifico delle pari opportunità. La “relazione di genere” sarà salvaguardata dalla prima premier donna nella storia della Repubblica?

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