La Uefa è una sorta di antitesi di Robin Hood, come ilfattoquotidiano.it ha scritto lo scorso settembre parlando del coefficiente decennale di rendimento, il più controverso dei quattro criteri di redistribuzione dei ricavi della Champions League predisposti dal massimo organismo calcistico continentale. Questo coefficiente incide per il 30% sul riparto complessivo annuo delle risorse, tanto quanto i risultati stagionali e più della quota iniziale di partecipazione (25%). Il rimanente 15% viene calcolato in base al market pool, ovvero il bacino di mercato per la vendita dei diritti televisivi nei singoli paesi. Anche in questo caso, è necessario ricorrere alla parola antintesi, visto che il sistema di conteggio del market pool è organizzato in modo tale da risultare contrario a qualsiasi tipo di trasparenza. Ma è un sistema che si inserisce perfettamente nella struttura elitaria che caratterizza la Champions League, dove tutto è costruito per favorire un ristretto gruppo di club facoltosi a scapito della maggioranza.

Il market pool attuale rappresenta una fetta della torta pari a circa 300 milioni annui, e non cambierà fino all’estate del 2024. La vendita del pacchetto dei diritti tv Uefa avviene infatti su base triennale, con il ciclo attuale iniziato nella stagione 2021/22 e destinato a concludersi al termine della stagione 2023/24. La Uefa però non comunica l’importo dei contratti che vengono stipulati con le emittenti dei singoli paesi e non rende noto il sistema di calcolo per la redistribuzione dell’importo complessivo proprio per impedire che, attraverso questo, si possa risalire alle cifre di origine. I dati vengono resi noti nudi e crudi, e non mancano di riservare qualche sorpresa.

La Francia è la regina del market pool, piazzandosi per il secondo ciclo consecutivo in testa alla graduatoria. In parole povere, il mercato transalpino trova emittenti disposte a pagare per trasmettere le coppe europee cifre più alte di quanto avviene in Inghilterra. Le squadre francesi infatti, per la stagione 2021-22 possono spartirsi quasi 63 milioni di euro, contro i 62 delle inglesi, i 55 delle tedesche, i 50 delle spagnole e i 34 delle italiane. Da notare, nel caso dell’Italia, il crollo di questa cifra rispetto al ciclo 2018-21, quando annualmente riceveva 51 milioni di euro. La sorpresa sulle potenzialità commerciali del market pool francese viene però smorzata una volta conosciuto il nome dell’emittente che si è assicurata i diritti tv della Champiions e delle altre due coppe: si tratta della beIN, società qatariota fondata nel 2014 da Nasser Al-Khelaifi, presidente del Paris Saint Germain.

Il sesto posto dietro all’Italia è occupato dalla Svezia, a cui sono riservati 16 milioni di euro, più di quanto sommato dai paesi inclusi tra la settima e la dodicesima posizione, vale a dire Austria, Russia, Olanda, Portogallo, Belgio e Turchia. Grazie alla generosità di TV4 Media, il Malmö, unica squadra svedese presente nella fase a gironi di Champions 2021-22, riceverà 16 milioni di euro, a dispetto di una campagna europea disastrosa chiusa con un solo punto raccolto in 6 partite e -13 come differenza reti. Lo Sheriff Tiraspol, squadra che riuscì ad espugnare il Santiago Bernabeu, riceverà invece solo 14mila euro, perché in Moldavia evidentemente si fatica parecchio a vendere i diritti tv delle coppe. La mancata trasparenza nel calcolo del market pool pone interrogativi senza risposta sulla stagione attuale: dal momento che nessun club svedese si è qualificato ai gironi di Champions, che fine faranno i 16 milioni di euro riservati al paese? Oppure anche i 2.8 della Russia, le cui squadre sono nel frattempo state escluse dalle competizioni Uefa?

A livello di singolo club, sono i francesi del Lille i più premiati dal market pool 2021/22 con 29.6 milioni di euro, davanti ai 26.8 del Psg. Qui la spiegazione è semplice: la Francia ha tre club partecipanti alla Champions anziché quattro come le altre leghe top, pertanto la fetta da dividere risulta maggiore. Inoltre la quota più alta è riservata al club laureatosi campione nazionale, e due stagioni fa la Ligue 1 è stata vinta dal Lille. Il Psg è però la squadra che negli ultimi tre cicli ha guadagnato di più in assoluto dal market pool: tra il 2015 e il 2022 i franco-qatarioti hanno incassato 209.7 milioni di euro, davanti a Manchester City (188.7), Juventus (168.9), Real Madrid (147.9) e Barcellona (143.5). Nello stesso periodo l’Ajax ne ha ricevuti 7.7, nel suo caso penalizzato non solo da un market pool estremamente ridotto, ma anche da una legge vigente in Olanda che impone la trasmissione in chiaro di eventi sportivi di rilevanza nazionale, includendo nella categoria non solo le partite della nazionale olandese e le finali di coppa, ma anche tutti i match delle olandesi in Europa. Un simile paletto non può che generare offerte al ribasso.

Da un punto di vista strettamente commerciale l’organizzazione del market pool è logica: più un paese fa guadagnare soldi alla Uefa, più viene premiato nella redistribuzione dei ricavi, perché ovviamente è più appetibile per un emittente trasmettere il Manchester City o il Bayern di Monaco piuttosto che lo Sheriff o il Red Bull Salisburgo. Osservando però la struttura d’insieme, si tratta dell’ennesimo tassello volto a favorire i campionati di punta rispetto al resto. Perché con quattro squadre con il posto già assegnato nella fase a gironi, il format stesso dei gruppi che tutela da improvvisi scivoloni e una ripartizione finanziaria destinata a garantire maggiori risorse – tramite il citato coefficiente decennale – alle società più presenti nella competizione, esistono tutti i presupposti per garantire alle emittenti dei paesi top la presenza delle proprie squadre anche nella fase a eliminazione diretta, stimolando quindi investimenti maggiori. Non è un caso che il 90% dei 300 milioni prodotti dal market pool 2021/22 sia appannaggio di Premier, Liga, Bundesliga, Serie A e Ligue 1.

La situazione cambia poco anche in Europa e Conference League, i cui diritti tv vengono venduti assieme ma che presentano una quota di market pool diversa: 30% per l’Europa League, 10% per la Conference. Il Tottenham Hotspur eliminato ai gironi della passata Conference ha incassato 3.9 milioni di euro contro i 435mila del Feyenoord finalista. Dall’intera sua campagna di Conference la squadra di Rotterdam ha ricavato 14.3 milioni, meno di quanto ricevuto dal West Ham semifinalista in Europa League dal solo market pool (17.4). Ma si potrebbe fare il medesimo discorso per qualsiasi società appartenente a campionati piccoli, dal Benfica al Brugge ai Rangers Glasgow. Il mercato di dimensioni ristrette, unito alla maggiore incertezza sulla partecipazione alle fasi avanzate delle coppe – o alle coppe stesse – produce uno svantaggio economico ancora più elevato di quello già presente. E lo status quo rimane garantito.

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