Il concetto di fair play è uno dei capisaldi della politica della UEFA, tanto a livello sportivo quanto a livello economico. Ma è proprio la UEFA la prima a non essere fair nella redistribuzione degli introiti attraverso ripartizioni sempre più sbilanciate a favore dei top club. Uno dei criteri più controversi e contestati riguarda il coefficiente decennale di rendimento, che in Champions League determina il 30% del riparto complessivo delle risorse, pesando in maniera eguale ai risultati stagionali nella competizione (30%) e più della quota di partenza (25%) e del market pool (15%). I padri di questo sistema, introdotto nel 2018, sono Andrea Agnelli e Karl-Heinz Rummenigge, all’epoca ai vertici dell’ECA (European Club Association), che nel 2016 sfruttarono il vuoto di potere creatosi in seno alla UEFA – Michel Platini era squalificato e l’istituzione era priva di un presidente – per forzare la mano e introdurre il citato coefficiente decennale. Presidenti di squadre appartenenti all’elite non potevano che produrre una riforma elitaria, che minimizzasse gli esiti di una stagione storta a favore della continuità di partecipazione alla Champions, quasi una formalità da ottenere in campionati nazionali sempre più sbilanciati a favore delle big.

L’ECA collabora attivamente alla formazione dei criteri di distribuzione dei proventi in quanto è partner di una joint venture con l’UEFA per la vendita dei diritti commerciali. Una partnership che l’UEFA è stata costretta ad accettare senza particolare entusiasmo, ma la minaccia – prima velata, poi più concreta – di una scissione verso la Superlega ha lasciato pochi margini di trattativa. Del resto, per l’UEFA le coppe europee rimangono una gallina dalle uova d’oro. Rapido esempio: la passata stagione le coppe europee hanno generato entrate complessive per 3.5 miliardi di euro. Dedotte le quote per l’organizzazione delle partite (323 milioni), i premi per le squadre eliminate ai preliminari (105), la quota di solidarietà (140) e quella destinata alla Champions League femminile (10), rimangono 2.92 miliardi da ripartire. Su questa quota, la UEFA percepisce una commissione del 6.5%, pari a 190.5 milioni di euro. Un guadagno cospicuo che la rende ricattabile.

Il coefficiente decennale voluto dall’ECA prevede la formazione di una graduatoria in base ai punti ottenuti nel ranking della competizioni europee negli ultimi dieci anni, aggiungendo anche dei bonus per i trofei vinti. La cifra complessiva, che quest’anno ammonta a 600.6 milioni, viene ripartita in 528 azioni di pari valore (1.14 milioni in questo caso), assegnate tra la 32 squadre qualificate alla fase a gironi secondo il seguente criterio: 32 alla prima classificata, 31 alla seconda, 30 alla terza e così via. Per la stagione 2022/23 la graduatoria è guidata dal Real Madrid, che riceverà 36.3 milioni di euro, seguito da Bayern Monaco (35.2), Barcellona (34.1), Juventus (32.9) e Chelsea (31.8). Diciassettesimo il Napoli (18.1), diciannovesima l’Inter (15.9), ventesimo il Milan (14.7).

Le storture sono evidenti già a una prima occhiata. Il Maccabi Haifa ultimo in questo ranking riceverà 1.14 milioni e, anche nel caso gli israeliani compissero un exploit incredibile superando la fase a gironi ai danni di una tra Juventus e Paris Saint Germain (i parigini sono settimi nel citato ranking e introitano 29.5 milioni) o Benfica (tredicesimo, incasso 22.7 milioni), dalla loro avventura in Champions guadagnerebbero complessivamente meno di quanto le tre rivali menzionate avranno incassato dal solo coefficiente decennale. Altro esempio: nelle ultime dieci stagioni il Milan in quattro occasioni non si è qualificato alle coppe europee, e lo scorso anno è ritornato in Champions dopo 7 anni. Eppure incassa oltre il doppio della Dinamo Zagabria e quasi il triplo del Brugge, squadre che frequentano i gironi di Champions ogni stagione. Si potrebbe ribattere che vincere il campionato belga o croato non sia paragonabile a un successo in Serie A, campionato però nel quale è sufficiente arrivare quarti per non dover nemmeno transitare dai preliminari. Ancora più anti-meritocratico è il caso di Barcellona e Ajax: negli ultimi cinque anni catalani e olandesi sono arrivati una volta a testa in semifinale di Champions. Il divario nel punteggio del ranking ottenuto e di circa il 10% a favore dei blaugrana, che però nel calcolo del coefficiente decennale guadagnano il 67% in più degli ajacidi.

Ovviamente la UEFA preferirebbe un quarto di finale tra Manchester City e Real Madrid piuttosto che uno tra il City e il Red Bull Salisburgo, visto il divario tecnico, economico e di appeal mediatico che separa i due club. Ma i primi due gap sono frutto anche di politiche sempre più elitarie nella ripartizione delle risorse, con i top club e le società più blasonate (anche se non più al top) dei principali campionati che chiedono guadagni certi per poter abbattere l’aleatorietà del risultato sportivo. Il coefficiente decennale produce effetti negativi a cascata anche sulle leghe nazionali, con rapporti di forza sempre più squilibrati a favore delle big, costantemente foraggiate dalla presenza fissa in Champions a scapito di quelle outsiders che, pur essendo riuscite a scavalcarle nella classifica finale (ad esempio l’Atalanta qualche stagione fa), non vedono i loro sforzi adeguatamente premiati sotto il profilo economico.

L’elemento più bizzarro dell’intero sistema è che la UEFA non utilizza lo stesso criterio di riparto per tutte le sue tre competizioni, anzi, quello che vale per la Champions conta molto meno per Europa League e Conference. Al di là delle dimensioni molto ridotte della torta da spartirsi, in Europa League il coefficiente decennale rappresenta una fetta pari al 15% (contro il 30% della Champions) del totale da dividere, scendendo al 10% per la Conference League. Competizione quest’ultima dove il 40% dei ricavi è determinato dalle prestazioni nel torneo, rendendola la più meritocratica delle tre coppe. Essendo del resto nata come contentino per le federazioniminori”, la Conference non necessita di particolari aggiustamenti a favore di una elite che nemmeno è presente nel torneo. Non sorprende quindi il risicato divario tra prima e decima nei ricavi derivanti dal ranking del coefficiente decennale: 400mila euro per la Conference League (Villarreal vs Istanbul Basksehir), 1.2 milioni per l’Europa League (Manchestre United vs Feyenoord), 10.2 per la Champions (Real Madrid vs Siviglia). E l’unfair play è servito.

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