FATTO FOOTBALL CLUBPrima era Lukaku, ora Vlahovic. Siamo passati da negro a zingaro. Sono cambiati i protagonisti, ma la storia è la stessa: il razzismo negli stadi italiani. E pure l’epilogo: in attesa del giudice sportivo (vedremo se almeno sarà squalificata la curva dell’Atalanta), per il momento l’unico colpevole rimane la vittima, il calciatore bersagliato dai cori che si è beccato un cartellino giallo.

Il problema è che continuiamo a guardare il dito, e non la luna. Il dibattito è monopolizzato dalle stucchevoli polemiche sull’ammonizione a Vlahovic e il paragone con Lukaku, la presunta disparità di trattamento lamentata dai tifosi bianconeri per il loro beniamino, quando la FederCalcio gli ha già manifestato solidarietà e fatto trapelare che sarebbe pronta a graziare anche lui in caso di eventuale squalifica (che qui non c’è, non trattandosi di espulsione). Ma era stata una toppa quella del presidente Gravina allora, e lo sarebbe di nuovo adesso.

Come avevamo scritto, si rischiava di ridurre la lotta al razzismo a una pacca sulla spalla nei confronti del calciatore, lasciato a battersi a mani nudi contro gli incivili. Certo, poi c’è stato il Daspo per 171 tifosi, ma lì parliamo di provvedimenti extra-calcio. Sul fronte della giustizia sportiva, però, la grazia ha sanato a posteriori un’ingiustizia, non ha fatto nulla per risolvere il problema alla radice: evitare che quei cori si ripetano proprio. Infatti dopo nemmeno due settimane ci risiamo.

Cambiano i colori e la matrice dell’insulto, ma il razzismo non è questione di maglia e nemmeno di pelle. La situazione è praticamente identica, aggravata dalla recidiva (lo stesso Vlahovic era già stato vittima a Bergamo degli stessi cori quando giocava ancora per la Fiorentina, lasciato quasi in lacrime dagli insulti nell’intervista post partita), e le parole surreali dell’allenatore Gasperini, che ha quasi difeso la sua curva. “Il razzismo è gravissimo e va combattuto ma, secondo me, in questo caso si tratta piuttosto di maleducazione”. Gasperini cercava di spiegare che anche l’Atalanta ha giocatori dell’est Europa, come Pasalic o Djimsiti, e che Vlahovic viene bersagliato perché avversario, come magari accaduto in passato ad altri giocatori particolarmente divisivi e rappresentativi dei loro club, come Balotelli, o lo stesso Lukaku. Ammesso e non concesso che abbia ragione in ciò che dice, ha comunque torto: è pur sempre un modo razzista, da trogloditi, di esprimere dissenso. E per questo inaccettabile.

Il punto è proprio questo: non dovremmo più accettarlo. A Bergamo, l’arbitro Doveri ha correttamente sospeso la gara alla prima avvisaglia, ma poi il gioco è ripreso e i cori sono continuati come se nulla fosse. Tanto poi da generare la reazione scomposta di Vlahovic. Tutti parlano di quel cartellino sventolato da Doveri, giusto, sbagliato, ma non è su quel comportamento dell’arbitro che dovremmo concentrarci. Il protocollo va applicato per davvero, e non solo pro forma, per salvare le apparenze. Se ci sono cori discriminatori, la partita va fermata. Tutte le volte che è necessario, anche a costo di condizionare il match. E non regge nemmeno più l’argomento che così si consegnerebbe un’arma ai tifosi, che le società finirebbero per diventare ostaggi delle curve. Anche le proprietà ne devono prendere atto, se non si è in grado di debellare il fenomeno significa che evidentemente in certe piazze non è possibile fare calcio. Col razzismo non si gioca. È l’unica soluzione.

Twitter: @lVendemiale

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