Mi sono fermato per ventiquattro ore, svuotato, esausto, la stessa sensazione che si prova dopo aver superato un esame difficile all’università. Scarico di adrenalina accumulata in tanti anni ho voluto evitare di fare riflessioni che, sebbene giustificate, erano le uniche ricercate dai media: le emozioni di una città e di un popolo magari condite da qualche luogo comune, quando non caratterizzate da mancanza di approfondimento.

Le mie e le nostre emozioni, quelle dei napoletani, non si possono spiegare. Sono vissute e basta.

Mi sono piuttosto soffermato, dopo una notte di festeggiamenti, in una sorta di rewind del film di questi diciotto anni di presidenza De Laurentiis, sulle ragioni del successo di questo modello di azienda. E mi sono chiesto: “se dovessi scegliere solo una tra le tante motivazioni analizzate nel mio ultimo libro A scuola da De Laurentiis (Ultra Edizioni), su quale ti soffermeresti?”.

Nessun dubbio: la capacità di imparare dagli errori. Una lezione di imprenditoria per un business case da studiare nelle scuole di management.

Aurelio De Laurentiis conosce gli effetti del “modello del formaggio svizzero” di James Reason. Sebbene sia tacciato di ostinazione, arroganza e narcisismo, è consapevole del fatto che la responsabilità degli “errori” umani in un’azienda è sempre sistemica: i suoi “errori” e quelli dei suoi collaboratori (errori umani dovuti a incompetenza o a inesperienza) hanno la loro matrice nei criteri di gestione aziendale. L’errore aziendale, infatti, non ha origine dalla natura umana, bensì è legato a fattori sistemici che ricorrono nei luoghi di lavoro e nei processi organizzativi nei quali emergono. La contromisura da adottare è quindi cambiare le condizioni in cui l’essere umano lavora.

Un esempio? È un dato oggettivo: i calciatori del Napoli, soprattutto quelli del nucleo storico di Benítez-Sarri-Ancelotti-Gattuso (Koulibaly, Mertens, Insigne, ecc.), i “fantastici perdenti” del Napoli, sembravano soffrire di nikefobia, la paura di vincere.

Nel gergo tennistico si chiama “braccino”, quella sensazione che assale il giocatore di avere il braccio molle nel momento in cui deve piazzare il colpo vincente di fronte al campione su cui sta prevalendo. È ovvio che si tratta di una fobia che non riguarda solo gli sportivi, ma anche i manager e gli imprenditori, gli studenti e qualunque persona si ponga un obiettivo ambizioso da raggiungere o stia affrontando una sfida. Anche coloro che hanno un appuntamento importante possono provare questa paura. Per vittoria, infatti, si intende in senso lato il raggiungimento di un obiettivo.

Per quanto riguarda specificatamente lo sport, la nikefobia è un fenomeno per cui un atleta (di qualsiasi ambiente e livello sportivo), seppur dotato di grandi potenzialità, non raggiunge mai livelli elevati di prestazione a causa di comportamenti che assumono le sembianze di un vero e proprio “auto-sabotaggio”. Studi specifici al riguardo hanno individuato in una percentuale che va dal 20 al 30% il numero di atleti che ne soffre in maniera più o meno evidente.

Il Napoli, per circa dieci anni, aveva dimostrato di cercarli con il lanternino.

Un errore di gestione complessiva, questo dell’azienda Napoli ma con una responsabilità prevalente: chi gestiva la selezione del personale nella squadra del Napoli in occasione delle campagne acquisti-cessioni, che, consapevole degli errori fatti nella valutazione complessiva del potenziale psicologico dei calciatori, ha impostato l’ultimo mercato guardando più alla testa che non ai piedi dei nuovi arrivi, alla ricerca di quella leadership in campo che forse era anche soffocata dalla presenza di “leader tossici”.

La leadership è indispensabile, nei consigli di amministrazione delle aziende come negli spogliatoi delle squadre di calcio, nella politica e nelle redazioni dei giornali. Troviamo un leader anche tra i pensionati che giocano a carte al circolo del paese. La leadership è la capacità di far conseguire a un gruppo di persone determinati obiettivi. Si tratta di una competenza/capacità volta a influenzare le persone a impegnarsi volontariamente per obiettivi comuni. C’è qualcuno che è più ascoltato degli altri, un punto di riferimento nel bene e nel male.

In altri termini, il Napoli è una società che, lo ripeto da anni, si è ormai adattata ai cambiamenti e ai modelli vincenti, facendo tesoro anche degli sbagli. Le skills maggiormente richieste ai collaboratori del Napoli sono la flessibilità e la capacità, massima espressione dell’intelligenza umana, di riconoscere gli errori, considerati un’opportunità per migliorare.

Il punto su cui si è lavorato resta il fast failure (sbagliare velocemente): l’accettazione che il progetto può presupporre, anche, l’insuccesso. E che bisogna procedere comunque. Come quando in barca a vela cambiano i venti e bisogna modificare la rotta sapendo che per raggiungere la destinazione ci vorrà un po’ più di tempo, ma che essa rimane invariata.

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