Lo Scudetto del Napoli è (anche) indiscutibilmente lo scudetto di Aurelio De Laurentiis. Indiscutibilmente perché, amato o odiato dagli stessi tifosi che oggi esplodono di gioia, è uno Scudetto che, se si parlasse di vini spumanti, sarebbe tutto fuorché figlio del “metodo classico”. E il metodo De Laurentiis è l’oggetto del focus di Vincenzo Imperatore, giornalista, scrittore, blogger de ilfattoquotidiano.it e anche manager di banca, nel suo “A scuola da De Laurentiis. L’efficienza di un modello innovativo” (edito da Ultra Sport – 210 pagine – 16 euro – prefazione di Roberto Beccantini e postfazione di Angelo Mincuzzi). Non certo l’agiografia del condottiero vittorioso, ma l’analisi di scelte spesso tutt’altro che popolari che però hanno portato a un trionfo lì dove in novantasette anni di storia ne erano arrivati soltanto due.

La volontà di Imperatore, dichiarata tra le pagine del libro, è quella di iscrivere il tifoso alla “scuola di management calcistico”: perché fare il presidente di una squadra di calcio è mestiere tutt’altro che facile e lo è, men che meno, a Napoli. Perché in fondo “chi non ha mai sognato di essere il presidente della propria squadra di calcio”? Proprio da questa domanda nasce il libro che evidenzia come nel calcio di oggi, malato e indebitato, le logiche del tifoso e dunque di un potenziale “presidente tifoso”, icona spesso sventolata a Napoli per contestare le scelte di Adl, non avrebbero grandi risultati.

E dunque, se come dice Imperatore, nel mondo degli affari “si valuta e non si giudica”, al netto di uno Scudetto, tre Coppe Italia e una Supercoppa Italiana vinta in 19 anni di guida delaurentisiana, nella partita tra Adl e i suoi “haters”, il popolo degli “A16”, il presidente, oggi si porta in netto vantaggio. Perché sì, non c’è dubbio che quel colpo dell’estate 2004, deciso da Capri nella solita maniera estemporanea e contro il volere familiare (e nel libro di Imperatore si trovano anche dettagli pressoché sconosciuti di quei giorni) fosse più (molto più) un affare fiutato che qualcosa di dettato dal cuore in stile Moratti. Ma è pur vero che quell’investimento rappresentava un rischio d’impresa, e che i guadagni che ne sono derivati, tanti, sono giustificati dal rischio assunto, grande.

E anche altri assunti che negli anni si sono andati consolidando, come quello de “De Laurentiis pessimo comunicatore”, in seguito alle intemerate verbali che pure spesso hanno visto il patron del Napoli protagonista, vengono confutati da Imperatore (e dalle sue fonti), ribaltando (ancora una volta) l’idea del vulcanico presidente cui si “chiude la vena” e innalzando quella della scientificità del metodo. Un metodo scientifico che ha portato alla creazione di una mosca bianca, o meglio azzurra, che in un calcio italiano con un patrimonio netto negativa da 5,3 miliardi di euro è in controtendenza. Al giugno del 2022 dopo le batoste economiche di due anni di covid ha un patrimonio netto positivo da 68,8 milioni di euro.

E dunque la vittoria sportiva, tra plusvalenze a altre operazioni che hanno consentito (alle altre squadre) di reggersi, è una conseguenza della vittoria del modello imprenditoriale che De Laurentiis ha utilizzato per il suo Napoli in tutti gli aspetti: da un marketing che ha saputo guardare oltre i confini partenopei e regionali, alla capacità di far crescere il marchio Napoli. Crescere anche attraverso errori: la scelta e l’aver continuato a puntare su quelli che per Imperatore si sono distinti come “magnifici perdenti”, calciatori bravi, ma affetti da “Nikefobia”, paura di vincere.

Un’analisi che tocca tanti aspetti dunque, molti di più rispetto a una mera questione di campo col coraggio di rinunciare a Insigne, capitano e napoletano o a Mertens, belga ma ancor più napoletano del primo nell’indole, per affidarsi a uno sconosciuto ragazzo georgiano dal cognome improbabile (che pure ce ne vuole tanto di coraggio), e che passa anche per le innovazioni portate non solo nel Napoli, ma nel calcio in generale da De Laurentiis, magari inizialmente considerate semplicemente “stravaganze” dell’uomo: dal terzo sponsor sulle maglie alle clausole rescissorie, dai diritti d’immagine alla panchina lunga.

Fino al terzo Scudetto naturalmente, che magari genera meno Pil di una Champions, ma sicuramente molta Fil (Felicità Interna Lorda): parametro in base al quale oggi Napoli è decisamente prima in Italia. Grazie a De Laurentiis.