Cultura

Ferrovie del Messico, il romanzo che nessuno avrebbe mai pubblicato: partito da 168 copie, è arrivato a 25mila (per ora). E al Premio Strega

di Giuseppe Pipitone

C’è un libro che all’inizio era stato distribuito in 168 copie e poi ne ha vendute venticinquemila. Almeno fino a questo momento. Questo libro si chiama Ferrovie del Messico ed è probabilmente il caso editoriale dell’anno. È lungo 828 pagine e lo ha scritto Gian Marco Griffi, piemontese del Monferrato, un 46enne che si autodefinisce “scrittore del lunedì“, perché il lunedì è il giorno libero dal suo lavoro al golf club di Margara. È dunque il lunedì che Griffi ha avuto tempo per scrivere prima Più segreti degli angeli sono i suicidi (Bookabook, 2017), poi Inciampi (Arkadia, 2019) e infine questo librone che l’editore Lillo Garlisi decide di pubblicare con la sua Laurana. Come si fa a vendere un tomo spesso più di sei centrimetri, un parallelepipedo bianco che s’intitola Ferrovie del Messico ma che col Messico non centra niente, anzi è tutto ambientato ad Asti ? “Come si fa non lo so, ma era proprio questo l’obiettivo che avevamo con Giulio Mozzi, quando in Laurana abbiamo aperto la collana Fremen“, dice Garlisi, che da decenni fa l’editore a Milano, ma è siciliano di Racalmuto, dunque concittadino di Leonardo Sciascia. “Un tempo – continua – Fremen si sarebbe definita una collana sperimentale, cioè un posto dove pubblicare libri che non sono di moda, che violano le regole del mainstream“. Quali sono le regole del mainstream? “Il mercato editoriale – risponde Garlisi – ha delle regole che sbarrano la strada a tutta una serie di libri, che vengono considerati invendibili. E vengono considerati invendibili perché si pensa non interessino al lettore. Ma come si può decidere a priori cosa interessa al lettore?”.

È dunque probabile che Ferrovie del Messico non avrebbe visto la luce senza la collana di Laurana dedicata ai libri “invendibili“? “Sì, è possibile che 100 editori su 100 lo avrebbero rifiutato. Ma d’altra parte noi volevamo stampare proprio questi libri, quelli che le grosse case editrici ti rispondono: bellissimo, però il mercato…“, dice Garlisi. Che poi racconta come all’inizio il romanzo di Griffi abbia effettivamente stentato a decollare: “Abbiamo avuto qualche problema con librerie e distributori. In questi mesi ho sentito dire di tutto: che il formato non andava bene, che era un libro scomodo nel senso che è difficile maneggiarlo, persino che avesse una brutta copertina. È stata definita, cito testualmente, una copertina inutilmente pauperistica“.

Eppure a un certo punto quel tomo da 800 pagine ha cominciato a diffondersi sempre di più: prima su Amazon, perché è solo lì che si trovava. Quindi sono cominciate le recensioni, che hanno dato avvio a una cosa che nell’editoria è leggendaria: il passaparola. “Ma che cos’è il passaparola? Come si attiva? Come si mette in moto?”, domanda, retorico e soddisfatto, Garlisi. Quello di Ferrovie del Messico, infatti, è stato un passaparola vorticoso visto che il libro ha fatto il botto: Laurana ne ha già stampate tredici edizioni. E più crescono le vendite, più il libro colleziona premi. “Griffi è il Muhammad Ali della letteratura“, sorride il suo editore, per spiegare che il libro ha vinto tutti i concorsi ai quali ha partecipato: in bacheca ha messo il Premio Mastercard, il libro dell’anno Fahrenheit, il città di Leonforte, l’Augusto Monti, il premio Zeno, il Mario La Cava. Quindi è stato incluso nella dozzina di titoli prescelti per il prestigioso Premio Strega, cioè quello che Garlisi definisce “il festival di Sanremo della letteratura italiana“. In questo Teatro Ariston di carta, a un certo punto, l’editore ha segnalato una piccola disfunzione: nelle librerie Ferrovie del Messico non aveva la mitica fascetta gialla che spetta ai finalisti dello Strega, al contrario di molti dei concorrenti. L’invio delle nuove copie con fascetta d’ordinanza chiedeva tempi tecnici che sono stati accorciati grazie al lavoro di incredibili volontari. “Mi hanno chiamato lettori da Ferrara, da Parma, da Palermo. Mi dicevano: ci mandi le fascette che andiamo noi ad applicarle sui volumi in libreria. Una cosa incredibile e bellissima“.


Ma come ha fatto Ferrovie del Messico a coinvolgere così tanto i suoi lettori da chiamarli alle armi persino per applicare la preziosa fascetta nelle librerie? Come ha fatto un librone di carta ambientato ad Asti nel 1944 a creare una community di persone sparse in giro per l’Italia? Difficile rispondere senza toccare la trama. La storia si sviluppa in quel biennio grigio che fu la Repubblica di Salò e narra le avventure di Cesco Maggetti, milite della Guardia nazionale repubblicana ferroviaria. Figlio di tabaccai di Asti (come il suo inventore Griffi), tormentato dal mal di denti, Maggetti riceve l’ordine di preparare una dettagliata mappa delle ferrovie del Messico. Quando si azzarda a chiedere chiarimenti, il suo superiore – prototipo dell’italiano cialtrone, maestro di scaricabarile – non perde neanche mezzo secondo per confermare che in effetti si trattava di un incarico bislacco. Ma era arrivato da molto in alto, cioè dai tedeschi, quindi bisognava eseguirlo. Da quel momento il lettore si trova immerso in una storia travolgente, avventurosa e originale. Il libro è una sorta di spirale che non appartiene a un genere preciso. Anzi appartiene a più generi: è un romanzo storico quando riporta usi e costumi dell’Italia degli anni ’40, diventa un manuale del golf quando narra una surreale partita tra gerarchi tedeschi, è clamorosamente realistico ogni volta che sottolinea il mal di denti di Maggetti, riesce a essere inquietante quando descrive le fantomatiche torri ottagonali dei nazisti, ma ironico pure quando racconta di scene truci ambientate in un surreale cimitero di Asti. Di Griffi hanno detto che è il “Bolaño italiano“, che è “figlio” di Gadda e Borges, ma dentro al suo libro c’è molto pure del tratto onirico di Zafón. La verità è che Ferrovie del Messico è un romanzo matrioska: dentro alla storia principale te ne racconta un’altra, più piccola ma non meno appassionante. E poi ancora una, con un meccanismo narrativo potenzialmente infinito. E potentissimo. Alla fine sembra di avere male ai denti.

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