Carlo Nordio ha chiesto l’apertura di un’azione disciplinare sui giudici della Corte d’appello di Milano per il contenuto “non opportunamente ponderato” della sentenza con cui stabilirono i domiciliari per Artem Uss, il figlio del governatore di una regione siberiana vicinissimo a Putin. A finire nel mirino del ministro della Giustizia sono i giudici Monica Fagnoni, Micaela Curami e Stefano Caramellino, accusati di “grave e inescusabile negligenza” per aver concesso – lo scorso 25 novembre 2022 – la detenzione domiciliare a Uss con braccialetto elettronico, dispositivo che non ne ha impedito l’evasione lo scorso 22 marzo, all’indomani del primo passo giudiziario verso l’estradizione chiesta dagli Stati Uniti che lo accusano di contrabbando di petrolio con il Venezuela ed esportazione illegale di tecnologie militari. Sul caso il Guardasigilli riferirà giovedì in Parlamento: oggi ha incontrato per un confronto in merito la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Le accuse del ministro Per Nordio, che ha richiesto l’azione disciplinare in una lettera indirizzata alla procura generale della Cassazione, la Corte d’appello milanese concesse i domiciliari “senza prendere in considerazione” alcune circostanze, presenti nel parere negativo alla detenzione domiciliare nella sua casa di Basiglio presentato dalla procuratrice generale Francesca Nanni e del pg Giulio Benedetti, che “se opportunamente ponderate avrebbero potuto portare a una diversa decisione”. La serie di questioni evidenziate dal ministro della Giustizia, tuttavia, sottolinea il Corriere, appare più che altro una “trasposizione a tratti tautologica” degli elementi con cui gli Usa avevano chiesto all’Italia di fermare Uss ed estradarlo. Si tratta in sostanza dei noti “appoggi internazionali” che “gli avevano consentito di allontanarsi dal luogo di commissione dei reati”, del fatto che sia “figlio di un politico russo” con “rilevanti interessi economici” in società tedesche e russe, che abbia il controllo di alcune società nel suo paese e negli Emirati Arabi Uniti, nonché delle “rilevanti consistenze economiche” a sua disposizione e della richiesta da parte del ministero della Giustizia di mantenere il regime carcerario il 19 ottobre, richiesta reiterata sei giorni dopo dal Dipartimento di Giustizia americano.

“Non hanno valutato gli elementi” – Il ministro accusa i tre giudici di “non aver valutato questi elementi, dai quali emergeva l’elevato e concreto pericolo di fuga”. In realtà però queste circostanze non furono ignorate dalla Corte d’appello, che ritenne il pericolo di fuga ancora concreto, ma sostenne, valutando alcune circostanze prodotte dai difensori di Uss, che potesse essere contenuto dall’abbinata di detenzione domiciliare e braccialetto elettronico. Letta l’ordinanza che concesse i domiciliari – e le motivazioni contenute – anche la procuratrice generale Nanni, che pure si era detta contraria, non impugnò in Cassazione la decisione dei giudici, evidentemente ritenendo che ci fosse una diversa valutazione di merito ma che non contenesse “vizi di legge“, unica motivazione per la quale potesse fare ricorso.

Anm: “Grave invasione di campo” – L’iniziativa di Nordio provoca la reazione dell’Associazione nazionale magistrati. “Una regola fondamentale della materia disciplinare, immediata traduzione del principio della separazione dei poteri, è che il Ministro e il Consiglio superiore della magistratura non possono sindacare l’attività di interpretazione di norme di diritto e quella valutazione del fatto e delle prove. Sarebbe assai grave se questo limite, argine a tutela della autonomia e della indipendenza della giurisdizione, fosse stato superato”, dice in mattinata Giuseppe Santalucia, presidente del sindacato delle toghe. Lo strumento disciplinare, aggiunge, “non può tener luogo degli ordinari mezzi di impugnazione e far confusione su questo piano di netta distinzione sarebbe quanto mai dannoso”. E spiega che la negligenza inescusabile che dà luogo a responsabilità è soltanto quella “che conduca alla violazione di legge, al travisamento dei fatti, all’adozione di provvedimenti privi di motivazione o con consentiti né previsti dalla legge”. Nel pomeriggio, poi, la Giunta esecutiva centrale dell’Anm diffonde una nota in cui parla di “grave invasione di campo nella sfera di competenza della giurisdizione, con inaccettabile intromissione sul sindacato interpretativo delle norme, che non possono essere oggetto di azione disciplinare, se non a costo di minare in radice l’autonomia e l’indipendenza dei giudici”. Il sindacato si riserva “ogni opportuna azione a presidio di principi e valori costituenti”.

Area: “Precedente molto grave, il ministro vuol salvarsi la faccia” – Durissimo Eugenio Albamonte, pm a Roma e segretario di Area, il maggiore gruppo della magistratura progressista: “È un esercizio dell’azione disciplinare a furor di popolo, anzi di governo, che crea un precedente molto grave in termini di invadenza del potere esecutivo sull’autonomia e indipendenza della giurisdizione”, attacca. “Sorprende che un atto del genere sia posto in essere da un ex magistrato che si professa garantista e liberale, quando la ripartizione dei poteri è proprio una delle architravi del pensiero liberale”, ragiona Albamonte. E avverte: “Si tratta di un precedente che espone ad analogo trattamento ogni giudice della Repubblica italiana che dovesse disporre una misura diversa dal carcere quando successivamente l’indagato fugga via o commetta altri reati pur in pendenza della misura disposta”. Così, aggiunge, “si oltrepassa la linea di rispetto segnata dalla legge con riferimento alle azioni ministeriali, baluardo fissato dalla legge in piena consonanza con i principi costituzionali”. E conclude: “Visto che escludo che al ministero siano sconosciuti questi principi basilari, non posso che pensare che questa iniziativa venga assunta dal ministro per salvare la propria immagine rispetto alla vicenda, che coinvolge responsabilità ministeriali”.

Anm Milano: “Azione per distogliere l’attenzione e mascherare inadeguatezze” – Anche per la sezione milanese del sindacato delle toghe l’azione di Nordio è “gravemente lesiva delle prerogative costituzionali che presidiano l’esercizio della giurisdizione: in modo sin qui inedito il potere politico, per ragioni attinenti la volontà di distogliere l’attenzione dalle criticità nella gestione da parte del governo di una richiesta di estradizione, promuove un’azione disciplinare sindacando il merito di una decisione ampiamente motivata dai giudici”. La giunta dell’Anm Milano, “nell’esprimere la più profonda solidarietà ai colleghi coinvolti in questa sconcertante vicenda, condanna fermamente l’iniziativa intrapresa dal ministro della Giustizia, che utilizza l’azione disciplinare per mascherare inadeguatezze delle amministrazioni coinvolte e per tentare di condizionare l’esercizio della giurisdizione”. Per discutere delle prossime iniziative da intraprendere, la sezione milanese ha tenuto nell’aula magna del Palazzo di giustizia un’assemblea straordinaria, a cui hanno partecipato il presidente della Corte d’Appello Giuseppe Ondei, la procuratrice generale Francesca Nanni e il procuratore capo Marcello Viola. È intervenuto anche il presidente Santalucia: “Stiamo lavorando a un documento per esprimere forte preoccupazione di tutta la magistratura nei confronti di un intervento che rappresenta uno scivolone istituzionale che si poteva evitare”, ha detto.

Gli avvocati: “Dal ministro forte intimidazione” – Dalla parte dei giudici si schierano anche gli avvocati penalisti. “Che si invii un’ispezione ministeriale per verificare l’operato della corte di Appello di Milano, e il ministro eserciti l’azione disciplinare entrando nel merito della fondatezza di un provvedimento non impugnato dagli organi legittimati, ci appare come un forte elemento di intimidazione“, scrive la Camera penale milanese in una nota. “Peraltro, non possiamo non sottolineare stupiti come i nominativi dei giudici componenti i collegi che si sono occupati del caso siano stati pubblicati con un’alea stigmatizzante dai mezzi di informazione. Quasi che scarcerare sia comunque sempre grave, molto più che incarcerare, il che è messaggio che non può passare“, aggiungono gli avvocati.

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