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Meloni è diventata allergica ai giornalisti? Dopo Cutro premier in fuga dalle conferenze stampa. E per la prima volta in 10 anni non illustra il Def

L’ultima volta è stata il 9 marzo, più di un mese fa. Giorgia Meloni riunisce il Consiglio dei ministri a Cutro e poi si presenta in conferenza stampa. L’umore, dopo il naufragio che è costato la vita a quasi 100 persone, non è ovviamente dei migliori. I giornalisti la incalzano sulla ricostruzione della tragedia e la premier reagisce nervosa: “Qualcuno pensa davvero che il governo o le istituzioni italiane non hanno fatto qualcosa che avrebbero potuto fare?”. “No”, dice qualche cronista, costretto a passare dal fare domande a dover fornire risposte. Mario Sechi, all’esordio da capo ufficio stampa di Palazzo Chigi, tenta di riportare l’ordine. Con scarso successo. Sarà per questo che quella di Cutro rimane, fino a oggi, l’ultima conferenza stampa della presidente del consiglio. Fino all’inedito: per la prima volta da quando esiste il Documento di economia e finanza (2013) non è stato fatto un punto del governo con la stampa.

Le conferenze stampa? Vade retro – E dire che in queste ultime settimane il governo ha varato provvedimenti delicati: dalla delega fiscale, al nuovo codice appalti fino al Ponte sullo Stretto. Ma la premier non si è più seduta davanti ai cronisti, che magari avrebbero avuto più di qualche domanda da porre sulle misure adottate dall’esecutivo. Anzi, a dire il vero, dopo il precedente di Cutro le conferenze stampa post Consigli dei ministri sono state ridotte al minimo: per tre volte non è stato fissato alcun appuntamento. Solo in un caso esponenti di governo hanno incontrato i giornalisti, ma si sono rifiutati di rispondere a domande sui provvedimenti più delicati appena approvati dal Cdm. Pure prima della tragedia calabrese, però, non erano troppe le volte in cui la premier si offriva alle domande dei cronisti dopo attività di governo. Basta guardare i numeri: fino a ora il governo di centrodestra si è riunito 28 volte, ma solo in cinque di queste occasioni sono state organizzate conferenze stampa con la presenza della presidente del consiglio. Sempre “accompagnata” da almeno quattro tra ministri e sottosegretari: un format che ovviamente riduce sia il tempo che il numero di domande concesse alla stampa. Niente a che vedere, insomma, coi precedenti di Mario Draghi e Giuseppe Conte. Al netto delle preferenze politiche, infatti, i due ex presidenti del consiglio non si sottraevano al confronto con la stampa dopo i Cdm o importanti attività di governo. Meloni, invece, sembra pensarla diversamente. Ma andiamo con ordine.

Silenzio dopo Cutro – Dalla conferenza stampa di Cutro a oggi l’esecutivo si è riunito altre quattro volte: l’ultima, l’11 aprile, è servita per approvare il Documento di economia e finanza, cioè il provvedimento che rappresenta la cornice della manovra. Un passaggio delicato, soprattutto in un momento segnato dalle polemiche per i ritardi dei progetti del Pnrr. L’esecutivo ha pure annunciato a sorpresa un nuovo taglio del cuneo fiscale con l’obiettivo di contribuire alla “moderazione della crescita salariale“, che però come è noto in Italia è inesistente. In più il Consiglio dei ministri numero 28 del governo Meloni ha pure dichiarato lo stato d’emergenza sulla questione migranti e ha dato il via libera alla nuova norma che punisce le azioni dimostrative degli ecoattivisti. Insomma abbondavano gli argomenti di interesse pubblico che meritavano qualcosa di più dell’asettico comunicato stampa diffuso post Cdm. E invece, come spesso avviene ultimamente, Palazzo Chigi non ha organizzato alcuna conferenza stampa. Non che gli esponenti di governo abbiano lesinato dichiarazioni: il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, si ferma a esternare davanti Palazzo Chigi sulle sanzioni a quelli che lui chiama “ecovandali”. Poi, però, dribbla le domande e lascia piazza Colonna. Meloni, invece, si affida ai suoi social media manager che montano un video con una musica inquietante a fare da sottofondo alle azioni dimostrative degli attivisti per il clima. Nessun incontro coi cronisti anche il 6 aprile, dopo il Cdm che aveva approvato il decreto Siccità, un mese e mezzo dopo il comunicato governativo che lo annunciava. La comunicazione della premier ha dunque pensato di diffondere un video in cui Meloni ha sostenuto che nessun ha mai affrontato il problema della siccità “in modo strutturale”, mentre il suo esecutivo ha scelto di farlo “prima che diventi una emergenza”. Eppure in molte regioni italiane è chiaro che la siccità sia emergenza già dallo scorso anno. Una contestazione che è stato impossibile avanzare alla capa del governo.

Ministri muti? Non sono tuttologi – La musica non cambia anche quando Palazzo Chigi decide di organizzarla una conferenza stampa. Come il 29 marzo, quando il governo approva un decreto Bollette da 4,9 miliardi e il nuovo codice degli Appalti, stroncato totalmente dall’Anticorruzione. “Per gli appalti sotto i 150mila euro va benissimo il cugino o anche chi mi ha votato e questo è un problema, soprattutto nei piccoli centri”, erano state le parole di Giuseppe Busia, il presidente dell’Anac finito nel mirino del Carroccio per quelle dichiarazioni, poi parzialmente corrette. Una polemica sulla quale gli esponenti del governo hanno potuto dribblare ogni domanda. Come senza risposta è rimasta anche la questione del ddl Concorrenza, prima inserito all’ordine del giorno del Cdm, ma poi mai approvato. Meloni, infatti, ha affidato le sue dichiarazioni sul decreto bollette a un post su facebook, mentre ha approfittato del flashmob della Coldiretti davanti a Palazzo Chigi per vantarsi di un altro provvedimento approvato dal Cdm: quello che vieta la produzione del cibo sintetico. “Una norma fondamentale”, l’ha definita il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, spedito in conferenza stampa insieme al titolare della Salute, Orazio Schillaci. Solo che il codice Appalti, il decreto Bollette e il rinvio del ddl Concorrenza sono provvedimento molto più interessanti per i cronisti, come ha fatto notare la giornalista Claudia Fusani. Il cognato di Meloni, però, si è rifiutato di rispondere. “Non siamo tuttologi – ha detto – riteniamo che i nostri colleghi potranno entrare nel merito meglio di noi”.

Silenziato pure Salvini – Probabilmente uno che avrebbe volentieri risposto alle domande sul Codice degli Appalti era Matteo Salvini, che in quelle ore è corso a intestarsi il provvedimento, subito ribattezzato “Codice Salvini“. Per fortuna di Giorgia Meloni, però, il rischio di regalare una ribalta mediatica istituzionale a quello che è il suo principale competitor nei ranghi del centrodestra è stato neutralizzato dalla cabina di regia sul Pnrr, convocata subito dopo il Cdm. Salvini doveva per forza essere presente e dunque ha dovuto disertare la conferenza stampa, limitandosi a un video propagandistico, diffuso sui social appena prima dell’inizio dell’evento con Lollobrigida e Schillaci. Il capo della Lega non ha potuto gustarsi una conferenza stampa neanche il 16 marzo, quando il Cdm aveva dato il via libera, salvo intese, al Ponte sullo Stretto di Messina. Con Meloni occupata a prepare il suo intervento al congresso della Cgil, in programma il giorno dopo a Rimini, Palazzo Chigi aveva preferito non organizzare alcun incontro con la stampa. Il Cdm, però, aveva appena approvato pure la delega fiscale: alla fine si era optato per mandare due fedelissimi della premier in tv. Anzi, più che in tv, da Bruno Vespa: il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari era andato a Cinque Minuti, il viceministro Maurizio Leo si era accomodato sulla poltrona di Porta a Porta. Salvini si rifarà cinque giorni dopo, sempre da Vespa, dopo il Tg1, con tanto di plastico del Ponte come negli anni d’oro di Silvio Berlusconi.

In conferenza stampa solo scortata – La media di presenze in conferenza stampa della premier migliora se si va indietro nel tempo ai primi mesi del suo governo. La prima volta si era presentata il 31 ottobre, dopo il secondo Cdm che aveva approvato il decreto Rave e quello sul Covid. Un incontro coi cronisti durato meno di un’ora, durante il quale Meloni era accompagnata dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio, da quello della Salute, Orazio Schillaci, da quello dell’Interno, Matteo Piantedosi e dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Appuntamento bissato 4 giorni dopo, sempre con Piantedosi e Mantovano, con l’esordio di Giancarlo Giorgetti e Gilberto Pichetto Fratin. L’11 novembre, invece, si era discusso di Caro bollette, del tetto al contante e del Superbonus, dopo che il Cdm del giorno precedente si era concluso a tarda sera: Meloni aveva affrontato i giornalisti insieme al fidato Fazzolari, al solito Giorgetti, ai ministri di Sviluppo economico e Lavoro, Adolfo Urso e a Maria Elvira Calderone. Il 22 novembre, invece, i cronisti non erano rimasti soddisfatti dal tempo concesso dalla premier (in conferenza con Salvini, Giorgetti, Calderone, Leo e Mantovano) per rispondere alle domande sulla legge di bilancio. “Non è colpa mia. C’ho il presidente di Confartigianato che sta aspettando me”, si è giustificata lei in un primo momento. Poi però si è innervosita e ha accusato i cronisti di essere stati “assertivi” in altre circostanze e di non essere stati “coraggiosi”: l’ipotesi – mai confermata – è che si riferisse al periodo del governo Draghi.

Video, dichiarazioni e punti stampa: fuga dalle domande – È da quel momento che alcuni giornali hanno cominciato a scrivere di presunte difficoltà da parte dell’inquilina di Palazzo Chigi nella gestione del confronto pubblico con l’informazione. Solo retroscena, ovviamente. Alimentati però dalla cronaca: la premier ha cominciato a privilegiare i videomessaggi, gli interventi e le dichiarazioni rilasciate a margine, dunque senza la possibilità di fare domande. Il 4 dicembre nascono “Gli appunti di Giorgia“, videorubrica diffusa sui social in cui affronta gli argomenti legati all’attività di governo. Non sarà forse uno strumento di propaganda per ridurre al minimo le conferenze stampa? “No, una cosa non esclude l’altra. Anzi“, ha assicurato il suo social media manager, Tommaso Longobardi, al Foglio. È un fatto, però, che da quel momento la premier ha disertato nove appuntamenti coi cronisti dopo altrettanti Cdm o importanti attività di governo e si è concessa solo alla rituale conferenza stampa di fine anno. Ha evitato le domande dei cronisti anche durante importanti incontri coi leader esteri: erano previste solo dichiarazioni anche quando a Palazzo Chigi c’erano il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, il premier olandese Mark Rutte e quello spagnolo Pedro Sanchez. Il 31 gennaio ecco un altro video prodotto per i social: s’intitola “100 azioni in 100 giorni” e per quasi sette minuti Meloni fa una sorta di autobilancio del suo governo, chiaramente promosso a pieni voti. Molto più breve l’ospitata alla prima puntata del nuovo programma di Vespa, che d’altra parte si chiama Cinque Minuti. La prima domanda è senza punto interrogativo. “Dopo la tragedia di Cutro, ancora una volta l’Europa si straccia le vesti ma non muove un passo, mentre l’opposizione attacca severamente la politica del governo sui migranti”. Meloni risponde agevolmente con una dichiarazione di un minuto abbondante. Stesso copione alla seconda domanda: “L’abbiamo vista commossa davanti ai peluche dei bambini uccisi in Ucraina”. Chiaramente Meloni conferma.

Lontano da Roma “tonnare” e incidenti – Il discorso cambia lontano da Roma: durante gli appuntamenti di politica internazionale, infatti, Meloni è costretta a partecipare agli incontri con la stampa come tutti gli altri leader. Non si tratta di impegni impossibili da superare: si va dai 12 minuti e 9 secondi riservati ai cronisti dopo i lavori del vertice dei leader Ue-Balcani occidentali di Tirana del 6 dicembre, ai 4 minuti e 21 secondi passati a rispondere alle domande prima di partecipare riunione del Consiglio europeo a Bruxelles. Anche lì non mancano le polemiche, come quando – il 24 marzo – i giornalisti italiani al Parlamento Europeo protestano per le modalità organizzative della premier: gli altri leader organizzano ordinate conferenze stampa, Meloni invece preferisce le “tonnare” di microfoni che non mettono i cronisti di lavorare in modo appropriato. A parte le polemiche, poi, non mancano gli incidenti. Il 3 febbrario Meloni va a Berlino per incontrare il cancelliere Olaf Scholz. Alla fine del vertice sono previste 4 domande, due per ogni Paese. Va male con entrambi. Una giornalista tedesca le chiede se prova ancora “allergia” per la Germania, come aveva detto durante un’intervista su Libero nel 2019, riportata anche sul sito della leader di Fdi. Che però nega: “Che io avrei detto di essere ‘allergica alla Germania’ francamente non ne ho memoria, non so quando avrei detto questa cosa. Io ho detto che l’unica lingua che non sono riuscita a imparare è il tedesco e lo confermo, sul tedesco ho fallito, ma non perché fossi allergica, ma perché è una lingua complessa….”. Il microfono passa dunque a un giornalista italiano, che fa una domanda alla premier sul caso Donzelli-Delmastro, i due esponenti di Fratelli d’Italia coinvolti dalle polemiche per il caso Cospito. Meloni non risponde: “Non credo sia un tema che interessi alla stampa internazionale e su questo risponderò volentieri domani”. Il 21 febbario Meloni va a Kiev per incontrare Volodymyr Zelensky e poi si concede alle solite quattro domande. Solo che pochi giorni prima Silvio Berlusconi ha attaccato duramente il presidente dell’Ucraina: impossibile non farlo notare alla premier italiana. Che prova ad arrampicarsi sugli specchi: “Al di là di alcune dichiarazioni, nei fatti la maggioranza è sempre stata compatti”. Nel frattempo sui giornali erano già uscite le indiscrezioni sull’arrivo di Sechi come nuovo capo ufficio stampa. Una nomina prima annunciata, poi smentita, infine confermata e formalizzata il 6 marzo. L’ex direttore dell’Agi ha esordito tre giorni dopo, con la disastrosa conferenza stampa di Cutro. Fino a oggi è l’ultima. E forse non è un caso.