Sul Pnrr bisogna correre: aprire i cantieri, recuperare i ritardi negli investimenti. Costi quel che costi in termini di rischio di aprire la strada alla corruzione. Così, tra le modifiche in extremis con cui il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha messo il suo timbro sul nuovo Codice degli appalti – scritto dal Consiglio di Stato sulla base della delega votata prima della caduta di Draghi – spicca il via libera all‘appalto integrato senza limiti di importo. Come ai tempi della famigerata legge Obiettivo di Berlusconi.

L’obiettivo dichiarato del testo di 229 articoli approvato venerdì in Consiglio dei ministri, che in nome della semplificazione e accelerazione delle procedure fa piazza pulita delle decine di allegati, è “favorire una più ampia libertà di iniziativa e di auto-responsabilità delle stazioni appaltanti, valorizzandone autonomia e discrezionalità“. Il problema è che la discrezionalità ora sembra anche troppa: oltre alla completa deregulation sui subappalti, viene aumentata da 150mila a 500mila euro la soglia sotto la quale anche i piccoli Comuni privi delle competenze e capacità necessari per ottenere la qualificazione potranno affidare lavori in autonomia. “Si tratta di più dell’80% degli appalti”, ha esultato Salvini in conferenza stampa. Ma la norma, affiancata al depotenziamento del reato di abuso d’ufficio preannunciato da Carlo Nordio e alla concessione ai condannati per corruzione e altri reati contro la pa dei benefici penitenziari ora negati dalla Spazzacorrotti, rischia di tradursi in un liberi tutti. “L’intento complessivo del governo si riassume con la formula che il presidente del Consiglio ha indicato dall’insediamento: non ostacolare coloro che hanno voglia di fare“, ha riassunto non a caso il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano.

L’altolà dell’Anac sul conflitto di interessi – Le perplessità del presidente Giuseppe Busia riguardano due punti: l’ammorbidimento delle norme sul conflitto di interessi e l’eliminazione dell’elenco delle società in house a cui le amministrazioni danno affidamenti diretti, sul quale Anac esercitava un controllo. Sul primo fronte, l’articolo 16 della bozza sfronda la norma vigente eliminando la disposizione secondo cui “le stazioni appaltanti prevedono misure adeguate per contrastare le frodi e la corruzione nonché per individuare, prevenire e risolvere in modo efficace ogni ipotesi di conflitto di interesse nello svolgimento delle procedure di aggiudicazione degli appalti e delle concessioni”. In compenso aggiunge un comma in base al quale l’onere della prova è rovesciato: è chi lo “invoca” a dover “provare” la “percepita minaccia all’imparzialità e indipendenza” che deve peraltro “riferirsi a interessi effettivi, la cui soddisfazione sia conseguibile solo subordinando un interesse all’altro”. Resta la previsione che chi è in conflitto deve avvisare la stazione appaltante. Secondo Busia, in questo modo viene meno il ruolo dell’autorità su un aspetto cruciale, posto che – come ha ricordato giovedì – “ci troviamo tanti casi in cui gli affidamenti vengono fatti a parenti o conoscenti, e questo significa che altre imprese capaci e meritevoli vengono estromesse dalla gare”.

Lo stop all’elenco delle società in house – L’altro timore si concentra sugli affidamenti in house: ad oggi l’Anac gestisce l'”elenco delle amministrazioni e degli enti aggiudicatori che operano mediante affidamenti diretti” a proprie società, sottraendo quindi al mercato lavori e servizi. Questo, oltre al fatto che l’ente deve dar conto dei motivi della scelta e dell’impatto sull’efficienza, l’economicità e la qualità del servizio, permette di controllare e intervenire se emergono irregolarità. Le bozze del nuovo codice eliminano l’elenco. Salvini in conferenza stampa si è limitato a replicare che l’Anac può “rivolgere le sue critiche al Consiglio di Stato” ma “io rivendico la separazione dei ruoli” e “nella cabina di regia che fa scelte politiche sulle opere strategiche per il Paese ci saranno i politici”. Mentre Mantovano ha detto di “non vedere tutti questi conflitti” e di ritenere che nel nuovo codice l’autorità abbia “un ruolo coerente con la sua funzione” anche se “erano previste delle prerogative che poi sono state eliminate nel testo varato dal Cdm”.

Il terzo passaggio che era finito nel mirino di Busia è stato invece modificato in extremis prima dell’arrivo del testo sul tavolo dei ministri: imponeva all’Anac di coordinarsi con la cabina di regia di Palazzo Chigi limitandone l’indipendenza dell’autorità.

Torna in grande stile l’appalto integrato – Il testo conferma il ritorno dell’appalto integrato, cioè l’affidamento di progettazione ed esecuzione dell’opera allo stesso soggetto, previsto dalla famigerata legge Obiettivo del governo Berlusconi definita “criminogena” dall’ex presidente Anac Raffaele Cantone, riportato in vita con alcuni paletti dal decreto Sblocca cantieri del Conte 1 e confermato dal decreto Semplificazioni di Draghi. All’ultimo minuto il testo del Consiglio di Stato, che lo limitava agli “appalti di lavori complessi” e ad opere di importo superiore a una soglia da stabilire, è stato modificato eliminando tutti quei paletti. Non sarà applicabile solo alla manutenzione. L’aggiudicazione avverrà con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, cioè scegliendo quella che ha il miglior rapporto qualità/prezzo. La stazione appaltante dovrà tener conto del “rischio di eventuali scostamenti di costo nella fase esecutiva rispetto a quanto contrattualmente previsto”, visto che quando il progettista e l’esecutore coincidono il prezzo in corso d’opera tende a lievitare con il “gioco” delle varianti.

Liberi tutti per i Comuni – Il nuovo articolo 62, modificato su richiesta dell’Anci, dispone che “tutte le stazioni appaltanti (…) possono procedere direttamente e autonomamente all’acquisizione di forniture e servizi di importo non superiore alle soglie previste per gli affidamenti diretti (140mila euro ndr), e all’affidamento di lavori d’importo pari o inferiore a cinquecentomila euro, nonché attraverso l’effettuazione di ordini a valere su strumenti di acquisto messi a disposizione dalle centrali di committenza qualificate e dai soggetti aggregatori”. Nel Codice attuale le soglie sono molto più basse: 40mila euro per l’acquisizione di beni e servizi, 150mila per i lavori. Oltre quelle cifre occorre ottenere la qualificazione.

Il subappalto senza limiti – La normativa europea non prevede limiti ai subappalti. Tanto che nei confronti dell’Italia, in cui fino al 2020 c’era il divieto di subappaltare lavori per un valore superiore al 30% del valore dell’opera, sono state aperte procedure di infrazione. Il decreto Semplificazioni del governo Draghi ha prima innalzato e poi cancellato il limite. Il nuovo codice non solo conferma l’eliminazione del tetto, ma introduce anche la possibilità di “subappaltare il subappalto” con la sola eccezioni delle prestazioni e lavorazioni esplicitamente indicate dalle stazioni appaltanti tra quelle che “non possono formare oggetto di ulteriore subappalto, in ragione delle specifiche caratteristiche dell’appalto e dell’esigenza, tenuto conto della natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro o di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori oppure di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali”. L’affidatario resta responsabile in solido rispetto all’applicazione da parte dei subappaltatori del “trattamento economico e normativo stabilito dai contratti collettivi nazionale e territoriale in vigore per il settore e per la zona nella quale si eseguono le prestazioni”.

Le clausole sociali – Dopo il corto circuito andato in scena la scorsa primavera al momento dell’approvazione della delega, le proteste dei sindacati e il successivo ripensamento, restano le tutele per i lavoratori nei cambi di appalto. In base al nuovo articolo 57 i bandi di gara, gli avvisi e gli inviti dovranno contenere “specifiche clausole sociali con le quali sono richieste, come requisiti necessari dell’offerta, misure orientate tra l’altro a garantire la stabilità occupazionale del personale impiegato, nonché l’applicazione dei contratti collettivi nazionali e territoriali di settore, tenendo conto (…) di quelli stipulati dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e di quelli il cui ambito di applicazione sia strettamente connesso con l’attività oggetto dell’appalto o della concessione svolta dall’impresa anche in maniera prevalente, nonché a garantire le stesse tutele economiche e normative per i lavoratori in subappalto rispetto ai dipendenti dell’appaltatore e contro il lavoro irregolare”.

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