Leggo dai giornali che sono state state depositate le motivazioni della sentenza per il depistaggio della strage di via D’Amelio, dove persero la vita il dottor Paolo Borsellino e i miei colleghi della Polizia di Stato Emanuela Loi, Agostino Catalano, Claudio Traina, Walter Eddie Cosina e Vincenzo Li Muli. Colgo l’occasione per salutare affettuosamente l’unico sopravvissuto, il collega Antonino Vullo.

L’argomento che vorrei trattare è l’Agenda rossa di Paolo Borsellino. Affermo subito, che immediatamente la strage di via D’Amelio e quindi ancora coi corpi straziati e fumanti a causa dell’esplosione, alcuni individui si fiondarono sulla scena del crimine, prelevando – in segreto – la borsa di Paolo Borsellino. Il mio riferimento è a quei personaggi che a vario titolo ebbero tra le loro mani la suddetta borsa. Intendo piantare un paletto, ovvero il 17 luglio 1992 – era un venerdì – io, Paolo Borsellino, i sostituti Guido Lo Forte, Gioacchino Natoli e il mio collega ispettore Danilo Amore, lo trascorremmo nella sede della DIA di Roma, in via Carlo Fea, per interrogare il collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo: interrogatorio che fu interrotto nel primo pomeriggio, perché Paolo Borsellino doveva partire alla volta di Palermo. Invero, noi continuammo a verbalizzare, anche il giorno seguente. Giova dire, che quello di venerdì era il terzo degli ultimi interrogatori della vita di Paolo Borsellino: gli altri due avvennero il primo e il 16 luglio.

Ebbene, ricordo che il 17 luglio, ancor prima di esaminare la testimonianza di Mutolo, Paolo Borsellino poggiò sulla scrivania la sua agenda rossa e lesse o scrisse qualcosa. In diverse occasioni ho detto e quindi mi ripeto, che in via D’Amelio fu inizialmente commesso il reato di omissione di atti d’ufficio. Appare difficile giustificare il comportamento di ufficiali e agenti di polizia giudiziaria, che essendo venuti in possesso di un reperto prelevato sulla scena del delitto, non abbiano compiuto gli obblighi di legge. Avrebbero dovuto all’uopo, repertare la borsa di Paolo Borsellino, sequestrando tutto il contenuto.

Mi spiace dire che se il dottor Giuseppe Ayala avesse obbligato un qualsiasi carabiniere o poliziotto di prima nomina, a redigere il verbale di rinvenimento e sequestro, oggi non saremmo qui a parlare dell’Agenda rossa. Purtroppo, quella mancanza consentì ad ignoti di impossessarsi dell’Agenda.

Tralascio il “silenzio” istituzionale sulla sparizione della borsa, che viene alla luce anni dopo. Ma vivaddio, come possono ancora tacere gli attori che “rubarono” l’Agenda rossa? Ci lamentiamo dell’omertà mafiosa e dei siciliani in genere e l’omertà che si evince nei fatti di specie come dobbiamo definirla? Per me sono vigliacchi istituzionali e mi fanno letteralmente schifo! Ma davvero riescono a stare in pace con loro stessi, pensando che per poter rubare l’Agenda, hanno fatto slalom senza pietà alcuna, tra i corpi martoriati? Ultime considerazioni. A chi faceva paura il contenuto dell’Agenda rossa? E, chi dell’entourage di Paolo Borsellino era a conoscenza degli appunti scritti nell’Agenda?

Guarda caso, rubano l’Agenda rossa e lasciano quella grigia, dove Paolo Borsellino annotava in maniera scrupolosa le spese giornaliere: persino anche dei caffè e delle sigarette. A tal proposito, fumammo tanto in quella piccola stanzetta della dependance della DIA: mi piacerebbe poter fumare ancora insieme a Paolo Borsellino, anche se ho smesso da anni e anni. Ma ciò non sarà possibile, come non sarà più possibile piangere: le ultime lacrime le ho versate in via D’Amelio.

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