Ritardi e inefficienza della spesa, perché oltre 60mila progetti fanno capo a piccolissimi Comuni a corto di personale. Dubbi sul completamento di 13 obiettivi sui 55 previsti per il secondo semestre 2022 e probabile slittamento della milestone europea del 31 giugno su costruzione e riqualificazione degli asili nido. Sullo sfondo, totale mancanza di trasparenza sullo stato di attuazione. Le imprese rilanciano l’allarme sull’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche in vista dello spostamento di alcune opere sotto il cappello dei fondi strutturali europei e della presentazione del nuovo capitolo RePowerEu che dovrebbe contenere progetti proposti dalle partecipate pubbliche. L’aggiornamento dell’Osservatorio Pnrr di Forum Ambrosetti e Ambrosetti Club fa il punto sulle criticità, confermando i problemi rilevati dalla Corte dei Conti e aggiungendo una previsione pesante. L’impatto di lungo periodo sulla crescita italiana, che era il vero obiettivo di un piano mirato a superare le debolezze strutturali del Paese, sarà molto più basso rispetto alle previsioni iniziali del ministero dell’Economia. Stando all’elaborazione di Ambrosetti, al 2026 il pil sarà superiore rispetto allo scenario base solo dell’1,9%. Contro il +3,6% stimato dal Mef nel 2021 come effetto dei soli investimenti, senza contare dunque l’impatto atteso dalle riforme: solo quella della pa avrebbe dovuto dare una spinta dell’1% a cinque anni dall’avvio del piano. Tanta fatica per nulla, o quasi. Così le imprese hanno buon gioco a proporre il loro rimedio: far spendere i soldi ai privati, attraverso partenariati o il discusso project financing.

Niente trasparenza sugli obiettivi 2022 – Secondo il Forum, in attesa della prima relazione del governo Meloni sul piano – che era stata annunciata per gennaio ma non si è ancora vista – ci sono 13 condizioni che avrebbero dovuto essere rispettare entro il 31 dicembre 2022 di cui manca documentazione legislativa completa, tanto da far sorgere dubbi sul fatto che i traguardi siano stati raggiunti. Perché, come denunciato a più riprese da Openpolis, non esistono strumenti che consentano di monitorare giorno per giorno lo stato di avanzamento dei progetti. I target più rilevanti tra quelli in bilico? Gli interventi per migliorare le strutture di cybersicurezza (ad oggi ci sono solo le graduatorie ma non la certificazione del completamento di almeno 5 misure), i nuovi posti letto negli alloggi per studenti universitari (l’avviso pubblico risulta ancora aperto) e l’aumento delle borse di ricerca (ne risultano assegnate 281 contro le 300 previste).

A rischio slittamento i progetti su asili nido e idrogeno – Per quanto riguarda i 96 obiettivi del 2023, stando al rapporto “solo 13 risultano in corso” – 7 dei quali avviati dal governo Draghi – e sembrano già destinate a slittare non solo la scadenza relativa all’aggiudicazione dei bandi relativi ai progetti per i nuovi asili nido ma anche quella sulla decarbonizzazione del trasporto stradale attraverso l’idrogeno. Sul primo fronte, come già raccontato da ilfattoquotidiano.it, è già saltata la milestone interna per la pubblicazione delle graduatorie e i sindaci hanno chiesto al governo di negoziare con la Ue il rinvio di quella (31 giugno) relativa all‘aggiudicazione dei contratti alle società che faranno i lavori. Il Forum ritiene che sia in dubbio anche l’obiettivo al 2025 di mettere a disposizione oltre 264mila nuovi posti negli asili.

Il 65% dei progetti ha come titolare un Comune – Le nuove semplificazioni sugli appalti previste dal decreto Pnrr approvato in consiglio dei ministri a febbraio arrivano troppo tardi per rimediare a slittamenti che hanno ormai compromesso il cronoprogramma. Anche perché lasciano irrisolto il vero nodo, cioè la capacità di spesa soprattutto degli enti locali più piccoli e di quelli del Mezzogiorno. Affossati da un deficit di risorse umane frutto di un decennio di blocco del turnover. Una situazione che pesa come un macigno sulla capacità di spesa e di gestione, posto che – stando alla ricognizione del Forum Ambrosetti – su 171mila progetti candidati ai finanziamenti del Pnrr per un importo complessivo di 180 miliardi ben il 65% ha come titolare un Comune. E, guardando solo a questi oltre 111mila, più del 60% arriva da Comuni con meno di 5mila abitanti e circa il 44% degli importi è gestito da amministrazioni comunali del Sud. Si tratta esattamente delle tipologie di enti che sono più spesso in crisi finanziaria e che registrano meno addetti (al Sud sono 1,4 in meno ogni 1000 abitanti rispetto al Nord). Criticità che le assunzioni a termine e con stipendi troppo bassi previste dal Pnrr hanno lasciato irrisolte: nelle amministrazioni locali il personale, nel 2022, è addirittura diminuito.

Effetto Gattopardo – Il rischio micidiale di questa ripartizione delle risorse l’aveva già evidenziato la Corte dei Conti nella sua Relazione: “La mole dei finanziamenti per i progetti Pnrr, aggiunti a quelli già programmati, accresce notevolmente il carico amministrativo, soprattutto in quei contesti territoriali che appaiono meno dotati di competenze tecniche e gestionali idonee ad assicurare un rapido ed efficace impiego delle risorse”. E “potrebbe determinare il rischio di un effetto prevalentemente sostitutivo dei progetti Pnrr rispetto alle politiche di investimento ordinarie, con la conseguenza di favorire la cristallizzazione di quei divari di sviluppo che il Pnrr punta, se non ad eliminare, almeno a ridurre”. Insomma: tanto sforzo perché tutto resti come prima.

La soluzione delle imprese? Project financing – Il report del think tank che organizza il Forum di Cernobbio contiene anche i risultati di un sondaggio tra gli amministratori delegati e i presidenti delle centinaia di società che fanno parte dell’Ambrosetti Club: da Eni a Saipem passando per Elettronica, Ferrovie, Leonardo più molte medie e piccole aziende. Il 52% dice di non aver partecipato ad alcun bando Pnrr e tra loro il 42% conferma di non volerlo fare neanche in futuro perché “non allineati alle necessità reali del paese ma solo tesi a spendere in fretta” o per la complessità e difficoltà ad accedervi. La soluzione? Le imprese spingono per un maggior ricorso al partenariato tra pubblico e privato anche nella forma del project financing, cioè accordi per cui un’azienda realizza l’opera e in cambio ne ottiene la gestione per un periodo sufficiente a ripagare la spesa sostenuta. Molto spesso però, insegnano tanti casi del passato, va a finire che i profitti privati superano di gran lunga l’investimento fatto. Non proprio un esempio di efficienza.

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