Non solo il commissariamento sprint degli enti locali inadempienti e la possibilità di saltare a piè pari la valutazione di impatto ambientale. Il decreto che riscrive la governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza e punta ad accelerare ulteriormente le procedure di autorizzazione dei progetti interviene con l’accetta su tutte le regole che disciplinano l’affidamento dei lavori pubblici necessari per rispettare il cronoprogramma. E fin qui si resta nel solco tracciato da Conte e Draghi, in molti casi limitandosi a prorogare fino a fine anno le semplificazioni già previste dall’omonimo decreto del 2020 e dal decreto Recovery dell’estate 2021. Ma l’esecutivo Meloni, chiamato a far fronte ai ritardi nella messa a terra dei fondi accumulati nel 2022, va pure oltre. Stabilendo – stando alle bozze entrate in consiglio dei ministri che ha approvato all’unanimità il dl – a stabilire che le procedure negoziate senza bando e l’appalto integrato si applicheranno anche alle opere “strettamente connesse” agli interventi finanziati con le risorse europee. Spingendosi a eliminare in “casi eccezionali” la Valutazione di impatto ambientale. E introducendo un sostanziale divieto di dissenso alla realizzazione delle opere.

L’esenzione dalla Via e l’appalto integrato – L’articolo 15 è dedicato alle “ulteriori misure di semplificazione” in materia di affidamento degli appalti del Pnrr e del piano complementare. La parola d’ordine è: via lacci, lacciuoli e controlli. Per prima cosa, quando sarà necessario procedere “con urgenza” per realizzare interventi del Piano di competenza statale il ministro competente potrà proporre l’esenzione dell’opera dall’iter di valutazione del suo impatto sull’ambiente.

Per accelerare i tempi, poi, la progettazione e l’esecuzione di tutti i lavori del Piano, oltre a quelli cofinanziati dai fondi strutturali Ue, potranno essere affidate “anche sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica”. Cioè ricorrendo al cosiddetto appalto integrato, l’affidamento di progettazione esecutiva e realizzazione dell’opera allo stesso soggetto. Un modus operandi vietato dal Codice appalti del 2016, già consentito per le opere del Recovery dal decreto Semplificazioni draghiano e ora riesumato nel nuovo Codice destinato a sostituirlo. Nonostante, secondo l’Anac, il risultato sia che “la stazione appaltante si ritrova un progetto diverso da quello pensato, con aumenti spropositati dei costi e contenziosi e quindi ritardi infiniti”.

Semplificazioni a tutto campo (anche per “opere connesse”) – Le novità principali riguardano però la conferenza dei servizi, che sarà svolta in forma semplificata e la cui determinazione conclusiva sostituirà “tutti i pareri, nulla osta e autorizzazioni necessari anche ai fini della localizzazione dell’opera, della conformità urbanistica e paesaggistica dell’intervento, della risoluzione delle interferenze e delle relative opere mitigatrici e conservative“. Le semplificazioni non si applicheranno peraltro solo alle opere Pnrr, bensì anche a quelle “di particolare rilevanza pubblica” che siano “strettamente connesse” agli interventi delle prime. In quei casi si potrà individuare un unico soggetto attuatore e applicare tutte le velocizzazioni già previste dal 2021 solo per il Recovery.

Marcia indietro sulla responsabilità erariale limitata – Sempre per assicurare il rispetto del cronoprogramma vengono dimezzati i termini delle procedure di esproprio. E si prorogano fino al 31 dicembre 2023 alcune disposizioni del decreto semplificazioni del 2020 che riducono controlli e concorrenza in nome della velocità: dall’affidamento diretto per lavori sotto i 150mila euro e servizi sotto i 139mila euro alla procedura negoziata senza bando (con consultazione di un certo numero di imprese) per appalti fino alla soglia europea di 5,3 milioni, fino alla possibilità di “deroga ad ogni disposizione di legge diversa da quella penale” per le stazioni appaltanti. È invece saltata in extremis, dopo le pesante critiche della Corte dei Conti, la proroga fino a fine anno della limitazione della responsabilità erariale dei funzionari pubblici, che la circoscriveva ai casi in cui il danno sia frutto di dolo consapevole, omissione o inerzia. Possibile però che il governo intenda intervenire per legge sia su questo sia sull’abuso di ufficio, come chiesto dall’Associazione nazionale comuni italiani con la sponda di Forza Italia.

Il divieto di dissenso – Il decreto di Draghi sulla governance del Pnrr aveva già introdotto una procedura di “superamento del dissenso”, che prevedeva l’intervento sostitutivo del consiglio dei ministri in tutti i casi in cui un ente avesse espresso “dissenso, diniego, opposizione o altro atto equivalente proveniente da un organo statale che sia idoneo a precludere, in tutto o in parte, la realizzazione di un intervento” del Piano (e dopo un tentativo di composizione in Conferenza Stato-regioni). Ora si interviene a monte, sancendo che la conferenza dei servizi su un’opera e la sua valutazione di impatto ambientale non possono, tout court, concludersi con un “No”. Chi esprime un dissenso è infatti tenuto a trovare anche la soluzione, indicando “le prescrizioni e le misure mitigatrici che rendono compatibile l’opera”. E attenzione, le prescrizioni devono essere conformi “ai principi di proporzionalità, efficacia e sostenibilità finanziaria dell’intervento risultante dal progetto”. Vale a dire che non si potranno imporre costi eccessivi.

I commissariamenti rapidi – Pur di aprire rapidamente i cantieri si prevedono del resto anche commissariamenti sprint degli enti locali inadempienti: Province, Comuni e Ambiti territoriali che non adotteranno i provvedimenti necessari all’avvio dei progetti del Pnrr avranno 15 giorni e non più trenta per provvedere a mettersi in regola dopo il richiamo del ministro competente. Se il termine non viene rispettato, il ministro nomina un commissario che adotterà gli atti necessari.

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