Dalla metà dell’Ottocento le potenze navali inaugurarono quello che la storiografia successivamente ha definito “diplomazia delle cannoniere”, ovvero un’attività di politica estera che implichi ostentazioni di potenza marittima sottintendendo una minaccia di azione militare. Visto che fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale la misura della potenza di una flotta si misurava con il numero di corazzate possedute, tali unità navali venivano utilizzate dai governi europei – e non solo – come elemento coercitivo nei confronti di nazioni meno armate. A tal proposito sembrerebbe che una Squadra Navale con a capo la portaerei Cavour sarà inviata nell’Indo-Pacifico. Ma l’ipotesi che, nell’eventualità di un conflitto sino-americano, l’Italia possa avere un ruolo attivo da un punto di vista operativo dovrebbe essere scartata a priori.

La notizia è stata riportata dal Foglio che cita fonti militari, anche se manca ancora l’ufficializzazione da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il Gruppo Navale sarebbe composto, oltre che dall’ammiraglia Cavour, da un cacciatorpediniere lanciamissili classe Doria e da una rifornitrice di squadra (Etna o Vulcano). Iniziative del genere non sono certo nuove per la nostra Marina: in precedenza, una squadra simile aveva effettuato il periplo del continente africano (in funzione antipirateria). Ciò che lascia perplessi stavolta è la destinazione: l’Indo-Pacifico. Questa regione, probabilmente, diventerà nel prossimo futuro il “terreno” di scontro tra la Cina e gli Stati Uniti. Quest’ultimi, già da qualche anno, stanno riconfigurando le proprie unità militari per combattere negli arcipelaghi del Mar Cinese Meridionale. La Cina è indubbiamente un attore ingombrante per Washington, sia dal punto di vista economico che militare, e per i suoi alleati nella regione, in primis il Giappone. Con Tokyo l’Italia avvierà la costruzione (insieme al Regno Unito) del caccia di 6° generazione Tempest, quindi il Gruppo Navale avrebbe anche il compito di mostrare la vicinanza politica di Roma al Paese del Sol Levante.

Più dubbi emergono poi sulla effettiva capacità della nostra flotta di competere in un potenziale contesto bellico di alto livello. In una recente esercitazione denominata “Mare Aperto”, la più importante che svolge la Marina annualmente, la Cavour è rimasta operativa solo cinque giorni su un totale di quattro settimane di esercitazione. La nave ha evidenziato criticità strutturali che, a 11 anni dalla sua entrata in linea, non sono ancora state risolte. Inoltre, l’integrazione con gli F-35B procede molto a rilento, allo stato attuale il Gruppo di Volo imbarcato può contare solo su quattro velivoli, mentre l’Aeronautica Militare ne ha due. A questo vanno aggiunte le scarse capacità che la macchina potrà offrire una volta completato il programma. La versione Bravo rispetto all’Alpha ha prestazioni inferiori, a fronte di un costo unitario superiore del 30%. Dal punto di vista del carico bellico, le baie interne dell’F-35B possono trasportare solamente due missili aria-aria a guida radar a medio raggio AMRAAM, quindi appena sufficienti per garantire la protezione aerea del Cavour. L’esiguo numero degli F-35B imbarcabili (8/9 macchine) – anche quando essi raggiungeranno la piena capacità operativa – non consentirà di assicurare alla Marina Militare la proiezione di potenza, vera ragion d’essere di un gruppo di portaerei. Le altre unità navali di prima linea (classe Doria e Bergamini) sono scarsamente armate, prive di missili antinave moderni e con poche celle verticali VLS per i sistemi d’arma superficie-aria (gli Aster-15/30 non hanno capacità di abbattere missili ipersonici). Insomma, la Marina Militare è più una Guardia Costiera 2.0 che una forza armata organizzata ed equipaggiata per assolvere i suoi ruoli istituzionali.

Anche perché, come dimostrano i precedenti storici, i Paesi che hanno deciso di intraprendere la “diplomazia delle cannoniere” vantavano flotte con un potenziale ben maggiore se rapportato all’epoca di riferimento. Ne è un esempio la “Great White Fleet” della U.S. Navy (composta da 16 corazzate) che, tra il 1907 e il 1909, ha compiuto il periplo del Globo al fine di dimostrare alla nascente potenza giapponese che gli Stati Uniti d’America sarebbero stati in grado di portare la guerra navale in qualunque oceano.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le portaerei rimpiazzano le corazzate come strumento per proiettare a grandissime distanze la potenza militare di una nazione. In ambito Nato, solo alcuni Paesi possono disporre di simili unità navali. Gli Stati Uniti dispongono di 11 portaerei a propulsione nucleare che sono il fulcro del Carrier Strike Group. Questo si compone di una portaerei (con imbarcato un centinaio di velivoli multi-ruolo e multi missione, oltre ad elicotteri di supporto), uno o due incrociatori lancia-missili (classe Ticonderoga), due o tre cacciatorpediniere (classe Burke), due sommergili d’attacco a propulsione nucleare SSN e una nave logistica d’appoggio.

La Francia schiera la portaerei nucleare de Gaulle, con il suo gruppo di volo, circa una trentina di macchine, equipaggiato con la versione imbarcata del Rafale (Rafale M). La Royal Navy, invece, dispone di due portaerei della classe Queen Elizabeth a propulsione convenzionale, le quali imbarcano gli F-35B della RAF. La Spagna ha in servizio la Juan Carlos I, classificata come LHD (Landing Helicopter Dock), unità d’assalto anfibia ma in grado di trasportare velivoli a decollo e atterraggio corto.

TRUMP POWER

di Furio Colombo 12€ Acquista
Articolo Precedente

Finlandia, Sanna Marin solo terza alle elezioni: vince il partito conservatore, poi l’ultradestra. Rebus sulla nuova coalizione di governo

next
Articolo Successivo

Parigi, referendum su monopattini e scooter elettrici a noleggio: l’89% vota per vietarli. La sindaca Hidalgo: “Aboliti dal 1° settembre”

next