Cultura

C’è il Vinitaly e il governo “deporta” il Bacco di Caravaggio dagli Uffizi a Verona. Utile o solo rischioso? Ecco cosa ne pensano 5 esperti

di Marco Ferri

Si succedono legislature e governi, ma non cambia il rapporto strumentale tra beni culturali e politica. E a rischiare sono sempre e solamente i primi. Qualche giorno fa è stata presentata la 55a edizione 2023 del Vinitaly, il salone internazionale del vino e dei distillati che si svolgerà a Verona dal 2 al 5 aprile. La vera superstar della manifestazione non sarà un Franciacorta, un Brunello, un Aglianico o un Vermentino, bensì un Dio dipinto. È il Bacco di Caravaggio, olio su tela realizzato tra il 1596 e il 1598 e custodito nella Galleria degli Uffizi di Firenze insieme ad altri due dipinti dell’artista lombardo, lo scudo con la Testa di Medusa e Il sacrificio di Isacco. Insieme a un cospicuo nucleo di opere, anche il Bacco il 22 settembre 2022 è stato confermato nell’Elenco delle opere inamovibili degli Uffizi, ma nonostante ciò il capolavoro di Caravaggio sarà imballato e spedito alla fiera vinicola veronese per motivi che esulano dalle “Linee guida per il rilascio delle autorizzazioni al prestito delle opere d’arte” (approvate con decreto del 2008), che recitano: “Contribuire a una mostra importante o a un progetto educativo interessante o che coinvolga nuovi pubblici; approfondire la conoscenza di un’opera o cogliere l’occasione per restaurarla; riunire temporaneamente oggetti che il tempo ha separato; mostrare opere solitamente conservate nei depositi e pertanto difficilmente fruibili; conoscere nuove culture; ricambiare i prestiti di altri musei”. Niente di tutto questo.

E allora perché il Bacco di Caravaggio (e anche il Bacco attribuito a Guido Reni, sempre degli Uffizi) andranno a Verona? La motivazione ha cercato di spiegarla il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che ha sottolineato la volontà di “far percepire quanto sia radicato il vino nella storia e nella cultura italiana e mondiale, un elemento utile per raccontarla e garantire ai nostri prodotti agroalimentari, attraverso i nostri beni culturali, di entrare nei mercati attraverso strade alternative”. Insomma scopi commerciali. Senza contare che una precisa norma del Codice dei beni culturali vieterebbe (il condizionale è d’obbligo perché poi i ministri decidono in maniera diversa) il temporaneo prestito di “beni suscettibili di subire danni nel trasporto o nella permanenza in condizioni ambientali sfavorevoli; beni che costituiscono il fondo principale di una determinata ed organica sezione di un museo, pinacoteca, galleria, archivio o biblioteca o di una collezione artistica o bibliografica”.

Quindi ancora una volta si tratta dell’esibizione governativa del potere di gestione dei beni culturali statali, il cui utilizzo risponde a logiche che esulano dai principi cardine delle opere d’arte – ovvero conservazione e valorizzazione secondo canoni precisi – e che fanno comprendere la capacità della politica di darsi delle regole e poi di non rispettarle, in un’inarrestabile spirale di “celodurismo” culturale che mette in costante pericolo alcuni picchi d’eccellenza artistica della nostra civiltà.

In passato è accaduto spesso, e non c’entra il colore del governo. Per esempio nel 2005 (governo Berlusconi) il Satiro Danzante di Mazara Del Vallo volò in Giappone per essere esposta al museo nazionale di Tokio, e poi all’Expo 2005 di Aichi. Due anni dopo, con il governo Prodi, sempre in Giappone (e sempre dagli Uffizi) grazie al ministro Francesco Rutelli ci finì L’Annunciazione di Leonardo da Vinci, sollevando un notevole vespaio di polemiche; nel 2009, con Berlusconi nuovamente a Palazzo Chigi, i Bronzi di Riace dovevano fare bella mostra di loro a La Maddalena, dov’era in programma il G8, ma il terremoto dell’Aquila costrinse a cambiare i programmi e le due sculture bronzee rimasero a Reggio Calabria; nello stesso anno il David di Donatello, subito dopo il restauro fu in esposizione alla Fiera di Milano, insieme ad altre opere, nell’ambito della “Campionaria della qualità italiana”. Più recentemente il ministro Dario Franceschini nel 2019, dopo una disputa giuridica e grazie a dei cavilli imbarazzanti, concesse il prestito temporaneo del fragilissimo disegno de L’Uomo Vitruviano dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia al Museo del Louvre per il 500esimo anniversario della morte di Leonardo da Vinci.

Adesso tocca al Bacco di Caravaggio sottostare alle smanie dei ministri di considerare il patrimonio culturale italiano come qualcosa da mostrare a ogni costo, preoccupandosi un po’ meno di proteggerlo a ogni costo. La testata specializzata Artribune ha raccolto subito le perplessità sollevate da “Mi Riconosci”, associazione che riunisce i professionisti nei beni culturali per vigilarne le condizioni lavorative nel settore, ma non è la sola voce discordante.

Marco Ciatti, già soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure, afferma che “da tecnico posso dire che dipende da come avviene questa operazione. Se ci sono i soldi, si può fare tutto. Il resto è questione di opportunità e personalmente non credo che la presenza del capolavoro di Caravaggio a Verona possa aumentare le vendite di vino. Magari si poteva pensare a una simulazione dell’opera alla fiera. Se si fosse trattato di una mostra, avremmo potuto parlare di incremento culturale, ma in questo caso…”.

Leggermente più possibilista Claudio Strinati, già soprintendente romano: “Non mi ritengo un ayatollah antiprestiti, ma non sono né fieramente avverso a questo prestito, né lodatore di esso. So per esperienza che il Vinitaly è una macchina organizzativa perfetta, per cui la tutela è garantita”. Quando però ricordiamo allo storico dell’arte che il Bacco figura nella lista dei capolavori imprestabili degli Uffizi, aggiunge: “Se la lista è più o meno vincolante bisognerebbe comunque valutare attentamente e comunque il prestito deve essere fatto sempre e comunque nel pieno rispetto della legge“. Più categorica Cristina Acidini, già soprintendente per il Polo Museale Fiorentino: “Nel 2009 il ministro d’allora volle che mandassi il David di Donatello dal Bargello a Fieramilanocity: non mancarono aspre critiche… Si vede che i tempi sono cambiati e i censori si sono assuefatti. Mi stupisce comunque che i consiglieri degli Uffizi non si facciano sentire”.

Da parte sua l’archeologo Giulio Volpe, ordinario di Metodologia della ricerca archeologica all’Università di Bari, si dice “assolutamente non contrario a operazioni simili anche se potrebbero apparire commerciali. Perché il Vinitaly è una manifestazione pubblica e un’operazione del genere potrebbe anche essere interessante purché si svolga nell’ambito di un progetto culturale e non si riveli la semplice esposizione di un feticcio. Vino e arte si possono anche legare – aggiunge Volpe – ma ci vuole un progetto scientifico che sia espressione di cultura. Esistono esempi in tal senso, colti, con una base semplice, ma mi chiedo se questo di Verona lo sia davvero. Se le opere lasciano un museo per fare una politica di qualità posso essere anche d’accordo, altrimenti è puro feticismo“.

Infine il parere del mercante d’arte Fabrizio Moretti, membro del Comitato scientifico proprio delle Gallerie degli Uffizi: “Ovviamente rispetto le scelte del ministro e del direttore, ma mi domando: perché un bene della lista degli inamovibili venga prestato a una mostra, che non ha un carattere intellettuale, ma solo di divulgazione popolare. Le opere ‘sacre’ dovrebbero viaggiare il meno possibile, per essere tutelate e protette affinché le generazioni future ne possano godere. L’arte è senza tempo“.

A conti fatti, quindi, com’era prevedibile i più soddisfatti di questa operazione saranno i ministri dell’ennesimo governo della Repubblica Italiana capace di “piegare” alcuni totem del patrimonio nazionale ai voleri della politica che poco coincidono con quelli della cultura; i meno soddisfatti, c’è da giurarlo, saranno invece i cittadini che tra il 2 e il 5 aprile (ma forse anche un po’ prima e un po’ dopo quelle date) visiteranno gli Uffizi, perché, a fronte del recente aumento del prezzo d’ingresso, troveranno ad attenderli un capolavoro in meno che doveva essere “inamovibile”. Ma a chi importa?

Nell’immagine in alto – A sinistra il Bacco di Caravaggio, a destra il Bacco attribuito a Guido Reni: entrambi sono abitualmente esposti agli Uffizi di Firenze

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