Schiacciati da ansia da prestazione, stanchezza mentale e confronto con modelli irraggiungibili, gli studenti universitari chiedono aiuto ma nessuno risponde. Due i suicidi recenti in ambito accademico: una ragazza di 19 anni trovata senza vita nei bagni dello Iulm di Milano, una di 26 anni morta a Napoli. Per la comunità studentesca c’è un modo per prevenire il disagio: rendere l’assistenza psicologica per gli studenti un servizio pubblico completo e a carico del sistema sanitario nazionale. Con questa intenzione, l’Unione degli universitari (Udu) chiede investimenti strutturali e presenta alla Camera una proposta di legge.

Le voci degli studenti – “Al primo anno ho usato tutte le mie energie: zero vacanze, zero feste, solo studio. Anche nel weekend. Ho dato gli esami previsti, la maggior parte con 30. Avevo raggiunto l’obiettivo, ma mi sentivo mentalmente a pezzi e l’università era diventata una tortura” dice Paolo, 24 anni, Ingegneria. “Vengo da una piccola città del Sud, i miei coetanei si sono iscritti a corsi di laurea a indirizzo scientifico sotto pressione delle famiglie. Io ho scelto una facoltà umanistica, sono al passo con gli esami e ho ottimi voti, ma vivo con l’angoscia che non troverò mai lavoro”, Francesca, 25 anni, Lingue. “Sono fuori corso. Passo le giornate sui libri ma non riesco a concentrarmi. Mi sono rassegnata all’idea che forse non finirò mai gli studi”, Alice, 29 anni, Medicina. “Ho sempre amato studiare, fin dalla scuola. Ma da quando sono all’università soffro di ansia perenne, attacchi di panico continui e non riesco a sedermi a un esame se non sono preparato al massimo. Quasi sempre, anche se prendo trenta, non sono comunque soddisfatto dell’esame e mi sento in colpa verso la mia famiglia”, Claudio, 23 anni, Fisica. “Ho pensato tante volte di mollare, a volte anche di farmi del male. A salvarmi non è stata l’Università, ma la rete di amici che ho costruito durante gli studi”, Lucia, 28 anni, Veterinaria.

Secondo uno studio condotto dall’Università Statale di Milano in collaborazione con il Centro funzionale di ateneo per l’orientamento allo studio e alle professioni (Cosp), su oltre 7mila studenti unimi, il 42% soffre di ansia da prestazione, il 12% presenta sintomi depressivi e il 62% è preoccupato da fattori economici durante gli studi. Gli intervistati hanno in media 24 anni e provengono da tutte le facoltà. La situazione è uguale nel resto d’Italia, come fotografa una ricerca condotta tra le università di Rotterdam, Cagliari e Groningen. Su più di 4mila universitari italiani, almeno il 5% soffre di disturbi legati alla salute mentale, che si aggravano nel 36% dei casi.

Le cause – Secondo gli studiosi, il disagio è dovuto in parte all’età anagrafica: “Alcune questioni – spiega a ilfattoquotidiano.it Ilaria Cutica, professoressa di Psicologia generale all’Università di Milano e autrice dello studio insieme a Davide Mazzoni, docente in Psicologia sociale – sono legate all’ingresso nell’età adulta. Sono anni in cui si struttura la personalità e negli studenti universitari questo può essere oggetto di crisi. Ci si sperimenta in un ambiente di conoscenze a cui poi si vorrà dedicare la propria vita lavorativa e questo impatta sull’identità, perché l’identità di tutti noi è data anche dal lavoro che facciamo”. Accanto a questo, c’è una sempre maggiore pressione sul concetto di performance. A sottolinearlo è Camilla Piredda, rappresentante dell’Unione degli universitari (Udu) per la salute mentale. “Attraverso il confronto costante con gli studenti nei vari atenei italiani, ma anche dai dati che abbiamo raccolto, ci siamo resi conto che la pressione addosso alla componente universitaria nel nostro paese oggi lede per forza il benessere psicologico”, dice Piredda a ilfattoquotidiano.it.

A influire, una retorica fondata sull’eccellenza, che i giovani percepiscono a scuola, in famiglia e all’università. “Come nuove generazioni ci viene chiesto sempre di performare, di ottenere risultati più alti e migliori di tutte e tutti. Veniamo messi in competizione con persone che in realtà dovremmo vedere come nostri colleghi. Chi ci sta accanto poi è mostrato quasi come un competitor, senza mai considerare le condizioni sociali ed economiche di partenza né la storia del singolo”. Ad alimentare questa percezione sono i media. “Il racconto si concentra puntualmente su storie non salubri – spiega Piredda – di chi si laurea in pochissimo tempo. Questo porta al confronto continuo gli altri, cosa che inevitabilmente ci fa sentire in difetto con i nostri coetanei. Non viene mai narrata la normalità, popolata di studenti che hanno la loro vita che magari a causa dei costi troppo grandi del sistema universitario non riescono a mantenersi da soli e devono lavorare per poter pagare l’affitto”. Questo genere di discorsi rischia di compromettere una situazione già difficile, che anche quando non ha ripercussioni gravi, porta gli studenti a vivere male non solo gli esami ma anche le loro scelte di vita. “Serve una contronarrazione – spiega Piredda – che si basi sulla normalità, sul fatto che ogni studente ha i suoi tempi e i suoi risultati”.

Le soluzioni in campo e la proposta di legge – Nella maggior parte degli atenei italiani esistono degli sportelli di counseling psicologico, un servizio senza costi per gli studenti ma limitato nel tempo e nelle modalità. Quasi tutte le Università lo usano per intercettare i casi più gravi, ma anche per incrementare la produttività accademica, evitare fuori corso e orientare nella scelta della facoltà. In media lo studente ha a disposizione fra le tre e le otto sedute gratuite, ma si tratta di colloqui preliminari, volti per lo più a risolvere una crisi momentanea.

Per i problemi più specifici, gli sportelli – che sono gestiti da psicologi d’ateneo o specializzandi – rinviano a centri privati convenzionati in cui iniziare un percorso di psicoterapia a prezzi calmierati. I costi però sono a carico degli studenti e questa soluzione è comunque un modo di curare, non di prevenire. “Non bisogna medicalizzare” dice Elia Montani, presidente della confederazione degli studenti nel discorso di inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Milano il 17 marzo. “Se la missione dell’università è la persona nelle sue relazioni, il counseling psicologico e il bonus psicologico per quanto essenziali non bastano”, dice Montani. A supportarlo, anche il rettore, Elio Franzini, che a margine del discorso inaugurale osserva come la salute degli studenti sia “essenziale”. Per Franzini, “gli atenei non possono essere lasciati soli a gestirla. È un problema che va affrontato sul piano nazionale, con un’azione parlamentare e politica”, afferma Franzini. In alcune regioni d’Italia, lo psicologo di base o quello scolastico cominciano a diventare realtà, come in Campania o Lombardia. Ma la situazione è ancora arretrata quasi ovunque. Non ci sono misure ad hoc per gli studenti universitari, né linee guida nazionali sugli sportelli di counseling, che oggi sono a carico degli atenei, quindi spesso poco finanziati e con tempi di attesa dai sei ai nove mesi. La Udu ha portato alla Camera una proposta di legge per un investimento strutturale sulla salute mentale degli studenti. “Chiediamo l’istituzione di assistenza di sportelli di assenza psicologica in tutte le università. Non solo counseling, ma anche la possibilità di fare un percorso di terapia con specialisti esterni agli atenei, anche perché il fatto di trovarsi a esporre i propri problemi con docenti universitari o specializzandi, può essere un deterrente per uno studente”, dice Piredda.

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Se hai bisogno di aiuto o conosci qualcuno che potrebbe averne bisogno, ricordati che esiste Telefono amico Italia (0223272327), un servizio di ascolto attivo ogni giorno dalle 10 alle 24 da contattare in caso di solitudine, angoscia, tristezza, sconforto e rabbia. Per ricevere aiuto si può chiamare anche il 112, numero unico di emergenza. O contattare i volontari della onlus Samaritans allo 0677208977 (operativi tutti i giorni dalle ore 13 alle 22).

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