di Savino Balzano

Per quanto doloroso, è necessario far pace con la storia e ricondurre a realtà quanto accaduto nella nostra storia, al fine di individuare quelle che per come la vedo sono le colpe circa l’attuale stato di prostrazione del Paese. Quantomeno della parte più fragile di esso.
Da questo punto di vista sono convinto del fatto che l’informazione abbia responsabilità gravissime ed epocali: la distorta narrazione dell’oggi alimenterà infatti le menzogne del domani e già adesso paghiamo lo scotto della propaganda subita negli anni e nei decenni passati.

Mi capita spesso di saltare sulla sedia guardando i talk la sera a casa, risucchiato da una sorta di masochismo che ancora non mi spiego e che sempre più insistentemente mi invita a un percorso di terapia: credo sinceramente di aver bisogno di aiuto. Mi ritrovo a inveire contro lo schermo, un po’ come Nanni Moretti in Aprile, sotto lo sguardo incredulo dei miei familiari. Eppure qualche ragione credo comunque di avercela.

Mi è successo ancora una volta ieri ascoltando, non era di certo la prima volta, Elsa Fornero a diMartedì. In tanti si sono affrontati meritoriamente per vincerlo, ma se qualcuno mi chiedesse di attribuire il premio come peggior ministro del lavoro della Repubblica non avrei alcuna esitazione: lo attribuirei a lei.

Nel reagire alle critiche rivoltele in studio (assai rare per la verità, di solito Floris la interroga come si sarebbe fatto in passato rivolgendosi all’Oracolo di Delfi), la professoressa ha tenuto a precisare di aver “servito il paese” in condizioni economiche assai diverse da quelle di oggi, peraltro tacciando di disonestà colui il quale non voglia riconoscerglielo.

Oggi capita, e da sindacalista che prova ancora a fare il proprio dovere in coscienza sono in grado di certificarvelo, che ci siano lavoratrici e lavoratori licenziati che disperati si rivolgono al sindacato in cerca di aiuto. Siamo costretti a spiegare loro che, anche qualora il giudice ritenesse illegittimo il licenziamento, non di rado accade che questi non disponga degli strumenti necessari a ordinare la reintegrazione sul posto di lavoro. In poche parole: anche se vinci la causa, spesso a lavoro non ci torni lo stesso.

Mettiamola facile facile: se rubi un’automobile, se sottrai illegittimamente un qualsiasi bene altrui, il giudice è in grado di ordinarne la restituzione, corredando magari la decisione con il risarcimento del danno morale. Se ad essere sottratto illegittimamente è invece il lavoro, tale possibilità gli è massimamente preclusa.

E il lavoro è il fondamento della nostra democrazia costituzionale, il percorso emancipatorio attraverso il quale l’individuo vive un’esistenza libera e dignitosa. Ecco, grazie alla modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, voluto e realizzato con una legge passata alla storia come Legge Fornero, nel nostro paese è stato legalizzato il furto del lavoro, della libertà, della dignità.
Sarebbe questa l’idea di servizio per l’Italia che Elsa Fornero immaginava e immagina?

Disonesto sarebbe secondo lei colui il quale non riconoscesse che certe scelte fossero necessitate dalla crisi economica e dal rischio di default che l’Italia affrontava nel 2011. Nessuno è tuttavia riuscito a spiegare quale sia la relazione tra precarizzazione del lavoro e rilancio dell’economia, anzi: è ormai piuttosto pacifico come l’effetto sia drammaticamente opposto. E lo abbiamo visto, purtroppo. La verità – a mio avviso – è che quel maledetto governo non ha servito il Paese, il suo popolo, ma le multinazionali, le grandi imprese, che di quegli strumenti di flessibilizzazione si sono servite per ricattare la comunità del lavoro, tranciandone di fatto ogni slancio rivendicativo, principalmente (ma non solo) retributivo. Eppure certi protagonisti, in primis la Fornero, vengono ancora oggi esaltati e presentati all’opinione pubblica come salvatori della patria. A mio avviso la patria, le sue conquiste e i suoi diritti hanno invece svenduto.

Fino a poco fa la Fornero dubitava della testa di Salvini, raccontava ieri sera: oggi dubita anche del suo cuore. Cara professoressa, condivido alcune delle sue perplessità, ma mi domando: quanto cuore c’era nella sua scellerata volontà di relegare i nostri lavoratori alla più barbara delle precarietà, destrutturando diritti fondamentali (ricordiamo che l’art. 18 nasce come diritto sindacale, come presupposto alla partecipazione democratica sui luoghi di lavoro) frutto di lotte che son costate fatica, sudore e persino sangue di molti?

Mi auguro che prima o poi qualcuno in quegli splendidi salotti televisivi abituati a celebrarla abbia il coraggio di rinfacciarglielo, quantomeno per amor di verità, per rispetto ai tanti che soffrono oggi a causa delle sue scelte, innaffiate da lacrime d’ipocrisia, e di quelle del governo di cui ha fatto parte.

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