In attesa del voto in Parlamento per l’istituzione di una commissione bicamerale di inchiesta che dovrà far luce sulla scomparsa di Emanuela Orlandi – calendarizzata per il 20 marzo –, si procede con l’analisi di un elemento chiave della vicenda. Si tratta della nota cassetta che fu spedita in via della Dataria, presso la sede dell’Agenzia Ansa, il 17 luglio del 1983, a meno di un mese dalla scomparsa della cittadina vaticana di cui non si hanno più notizie da allora. Quattro giorni prima, un’altra cassetta era stata lasciata sotto il colonnato di San Pietro dai presunti rapitori, ma era stata prelevata dai funzionari vaticani. Ci sono diverse trascrizioni di quel nastro. Il Lato A, contiene delle voci maschili che con accento straniero leggono in italiano un proclama ufficiale in cui chiedono la liberazione dell’attentatore del Papa Alì Agca in cambio della Orlandi. Altre trascrizioni sono invece relative al lato B in cui si sente la voce di una ragazza che sta subendo delle violenze, “sottoposta a stimolazioni dolorose di intensità variabile e progressivamente crescente (come si legge da un rapporto del Sismi).

Della registrazione con la voce della ragazza del Lato B ci sono almeno due versioni diverse tra loro, per contenuti e durata. Ci spiega quest’anomalia il perito fonico forense Marco Perino che, incaricato dalla famiglia Orlandi, ha analizzato la copia digitalizzata di quel nastro insieme al suo collega Paolo Dal Checco. “Ci sono cose che non tornano – spiega a FqMagazine –. Dallo spettrogramma si vedono dei presunti tagli che potrebbero esser stati fatti sul nastro originale. Un’altra anomalia è che in una delle due versioni del riversamento lato B, quella più breve, vi sono delle voci maschili, tra cui una che pronuncia la nota frase “vogliamo andare a”, precedentemente trascritta a nostro avviso erroneamente in “Vogliamo Travel”. L’altra versione è più lunga, ma nonostante questo non contiene nessuna voce maschile. Altra evidente anomalia è che i presunti tagli visibili all’inizio del riversamento del lato B, non sono visibili alla fine del riversamento del lato A e anche questo “meccanicamente”, parlando di nastri analogici è quantomeno strano. Una delle ipotesi è che ciò che ci è pervenuto sia una registrazione di una registrazione probabilmente tagliata ad hoc. C’è anche il rumore di un proiettore in sottofondo. Purtroppo non ho ancora ben chiara quale sia stata la catena di custodia, io ho solo il riversamento in digitale e non è un punto di partenza appropriato. Di solito si lavora avendo a disposizione gli originali, creando una copia degli stessi per permettere la ripetibilità delle operazioni a eventuali controparti. Non si parte da file riversati non si sa come e quando, e successivamente anche compressi in mp3 riducendo ulteriormente la qualità”.

Se il rumore di fondo è quello di un proiettore, in ballo ci sarebbero i nastri prodotti da due apparecchi diversi, un proiettore che proiettava la scena ed un registratore che registrava il contenuto su audio cassetta per venire poi spedita. Intanto, abbiamo contattato l’ex agente Digos Pasquale Viglione che quel 17 luglio dell’83 ritirò la cassetta in via della Dataria. Fu lui a firmare il verbale di ritiro all’Ansa. “Quel giorno – ricorda Viglione a FqMagazine – fui incaricato dalla Squadra Mobile del sequestro del nastro. Ero in servizio come sottoufficiale, non ricordo chi mi accompagnò, sono trascorsi 40 anni. Ascoltai quel nastro e poi lo consegnai in Procura, era un atto formale. Quando poi riascoltai una copia, nel 2007, mi sembrò una versione ridotta ma la mia è solo un’ipotesi”. Una domanda che verrebbe da porsi è dove possa trovarsi la versione originale di quel nastro. “Una copia dell’originale dovrebbe essere proprio in Vaticano che la prelevò, ci dissero i rapitori, sotto al colonnato, quattro giorni prima di recapitarne un’altra uguale in via della Dataria. L’altra, quella spedita all’Ansa, sono abbastanza certo si trovi negli archivi della Questura di Roma”, spiega a FqMagazine il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi.

L’originale l’ha ascoltata solo mio padre – ci dice –, io no, mai sentita. Ricordo che quella stessa sera ci disse che aveva ascoltato delle voci di uomini che parlavano in sottofondo. A mio padre sembrò di riconoscere la voce di Emanuela, soprattutto in quel frammento, quando dice: “Per favore, fatemi dormire”. Qualche giorno dopo, gli inquirenti dissero a mio padre che avevano verificato bene la registrazione e che si trattava di spezzoni di un film porno messi insieme da un mitomane. Mio padre si tranquillizzò, la escludemmo subito. Poi, nel 2015, quando fu chiusa l’inchiesta raccolsi tutti i documenti su Emanuela. Mi era rimasto dubbio su quella frase che disse mio padre. Ho cercato in procura e ho trovato soltanto una parte di quella registrazione, riversata su cd. Quando l’ho ascoltata, nel 2016 ho avuto anche io la sensazione si trattasse della voce di mia sorella, quando dice quella frase. In realtà, ne sono abbastanza certo. E allora ho cercato i documenti dell’epoca e ho scoperto che in quei giorni quel nastro fu fatto analizzare da esperti del Sismi che misero nero su bianco che quella voce corrispondeva a quella di Emanuela”.

“Mi domando perché – conclude Pietro – dissero a mio padre di stare tranquillo quando sapevano, da analisi fatte, che era voce di Emanuela e non una finzione“. Su questo e altri punti oscuri dovrà indagare la Commissione Bicamerale di inchiesta, dopo l’approdo del provvedimento in Aula. Nel mentre, c’è un’altra indagine in corso su Emanuela Orlandi ed è quella aperta quasi due mesi fa dal Vaticano su cui c’è totale riserbo. Né la famiglia né la Sgrò sono stati convocati dalle autorità giudiziarie dello Stato Pontificio. “Se fossi stato io il Procuratore di Giustizia – dichiara Laura Sgrò a FqMagazine in merito a questa mancata convocazione – avrei messo in sicurezza le prove di cui siamo in possesso. Tutto questo è proprio strano, non ne capisco la ragione”.

È di queste ultime ore anche un’altra novità sul caso che tira in ballo un testimone cruciale mai ascoltato prima: Monsignor Valentino Miserachs, l’insegnante di canto corale di Emanuela. Dopo quasi 40 anni viene fuori che il Vaticano, per volere di papa Benedetto XVI, interrogò Monsignor Valentino Miserachs sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Accade il 4 maggio 2012 alle ore 17,00. Una data significativa se consideriamo che da lì a dieci giorni sarebbe stata aperta la tomba del boss della Magliana Enrico De Pedis nella basilica di S. Apollinare, adiacente alla scuola di musica di Emanuela. Ciò nonostante, il Vaticano ha sempre smentito l’esistenza di un dossier o di indagini interne sulla sparizione della ragazza, anche in tempi recenti. Lo sottoscrive nel suo libro (pubblicato a gennaio) anche Monsignor Georg Gänswein in cui il segretario particolare di Benedetto XVI ribadisce che questo dossier non esiste. Tuttavia, continuano ad emergere elementi che suggeriscono il contrario.

Alle telecamere del programma tv “Quarto Grado” Monsignor Valentino Miserachs ha dichiarato: “Al tempo non sono mai stato interrogato dagli inquirenti. Sono stato interrogato qualche anno fa, c’era ancora papa Ratzinger il quale insistette per approfondire l’indagine e sono stato convocato presso la Gendarmeria in Vaticano. C’era una certa solennità, c’era il capo della Gendarmeria e l’assessore per gli affari generali della Segreteria di Stato Peter Bryan Wells che rappresentava la parte ecclesiastica del Vaticano. Lui non ha aperto bocca, stava lì come un testimone; le domande le conduceva Giani. Ho raccontato quello che potevo sapere ma non mi hanno detto niente di come si sono sviluppate le indagini. Non so neanche se avessero convocato altre persone ma penso di sì”.

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