Speciale Sanremo 2023

Sanremo 2023, il monologo di Francesca Fagnani sulle carceri minorili: “In Italia la prigione serve solo a punire”

La giornalista, co-conduttrice della seconda serata, porta sul palco dell'Ariston un monologo dedicato alle carceri minorili italiane

di F. Q.

Francesca Fagnani porta al Festival di Sanremo un monologo sulle carceri minorili. La co-conduttrice della seconda serata fa un lungo discorso incentrato anche sul ruolo che lo Stato dovrebbe avere nei confronti dei detenuti, minorenni sì, ma anche adulti: “[…] Ci sono parole che per arrivare sul palco di Sanremo devono abbattere i muri, pareti, grate e cancelli chiusi a tripla mandata” esordisce. “Parole come queste raccolte dentro al carcere minorile di Nisida. Parole scritte insieme ai ragazzi che stanno scontando la loro pena lì e altrove. La nostra pena perché della nostra pena non se ne fanno niente. Cosa vorreste dire, cosa vi piacerebbe chiedere davanti ad una platea così importante?” chiede ai suoi interlocutori leggendo il testo del monologo: “Dottoré allora scrivi intanto 2-3 biliardini da Sanremo e poi devi dire ad Amadeus che si facesse meno lampade! E poi: ‘Rubare non è il mestiere mio l’ho fatto una volta e guarda dove sono finito'”. “A cosa ti servivano quei soldi?” “Per fare il brillante dottorè”. “E tu invece quando scendevi per una rissa con il coltello in tasca che cercavi? Sarà come a dire guardatemi voglio esistere anche io? Non avevi paura mentre facevi una rapina?” “Sono cresciuto nervoso, arrabbiato chi fa le cose per rabbia non ha paura”. “Non avevi paura di morire?” “Tanto prima o poi. Vogliamo che la gente sappia che non siamo animali non siamo bestie non siamo killer. Per sempre vogliamo che ci conoscano”.

“Quand’è l’ultima volta che hai pianto?” “Mai, nemmeno alle elementari piangevo io”, “E da quanto non vedi tuo padre che è in carcere come te?” “L’ho rivisto adesso, dopo tre anni”. “E che effetto ti ha fatto?” “Mi sono messo a piangere”. “E allora lo vedi che piangi? Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso alla domanda ‘Perché lo hai fatto?’ però non trovano la risposta. La risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano. Ma la risposta non esce, perché è inutile cercarla. Così lo sanno. Bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima. Hanno 15 anni e gli occhi pieni di rabbia. Occhi pieni di vuoto. Hanno 18 anni e lo sguardo è perso, pure sfidante. Hanno occhi che chiedono aiuto senza sapere quale aiuto, senza sapere a chi chiedere aiuto. La scuola l’hanno abbandonata ma nessuno li ha mai cercati. Non la preside ma neppure gli assistenti sociali che: o non ci sono o sono troppo pochi per certe periferie. E le madri, padri quelli che c’erano non ce l’hanno fatta”.

Fagnani prosegue: “Quando ho intervistato adulti finiti in carcere per reati gravissimi ho chiesto loro: ‘Cosa cambieresti nella tua vita?’ Quasi tutti mi hanno dato la stessa risposta: ‘Sarei andato a scuola perché se nasci in quel quartiere, in quel palazzo o da quella famiglia è solo tra i banchi di scuola che puoi intravedere la possibilità di una vita alternativa a quella già scritta per te da altri’. Lo Stato non può esistere nelle aree più fragili del Paese, solo attraverso la fondamentale attività di repressione delle forze di polizia. Lo stato dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa. Dovrebbe garantire pari opportunità almeno ai più giovani. È una questione di democrazia, di uguaglianza su cui si fonda la nostra Repubblica. Lo stato dovrebbe essere più attraente, più sexy dell’illegalità […]”.

“Ora che sei qui nel carcere minorile è tardi. Hai fallito tu e abbiamo fallito tutti. Ma il tuo destino non è irreversibile se quando esci da qui trovi un lavoro, rispetti la legge e superi pregiudizi. Ma se invece non ce la fai e torni in carcere, in quello vero quello degli adulti, allora sì, lì è davvero finita. Perché in Italia, salvo qualche bella eccezione, la prigione serve solo a punire il colpevole. Non serve a rieducare né tantomeno a reinserire nella società. Chi entra il giorno lo passa su un materasso sporco senza far nulla. In una cella dove dovreste essere in tre e invece siete in 5, dove si cucina nello stesso lavandino dove poi ci si lava i denti proprio sopra il water. Lo dico perché l’ho visto”.

Il monologo si avvia alla conclusione: “Un autorevole magistrato, al quale dobbiamo essere grati per le inchieste importantissime che coordina, quest’estate in un’occasione pubblica ha detto: ‘Sono contrario ad uno schiaffo in carcere ad uno schiaffo in caserma. Il detenuto non deve essere toccato nemmeno con un dito. Sapete perché? Per tanti motivi, ma soprattutto perché non deve passare per vittima’. Un detenuto non va picchiato per la ragione che dice lei cioè per non consentirgli di fare la vittima. Non va picchiato perché lo Stato non può applicare la legge della sopraffazione e della violenza che appartengono alle persone che lei giustamente arresta. Faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato. Sarà un fallimento per tutti e se non ci arriviamo per civiltà per umanità per rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, arriviamoci per egoismo. Conviene a tutti che quel rapinatore, che quello spacciatore una volta fuori cambi mestiere. Grazie”.

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