Speciale Sanremo 2023

Schiaparelli, il brand che veste Chiara Ferragni al Festival di Sanremo: dalle polemiche per le belve alle origini nell’arte

Per comprendere appieno lo stile e il significato di questo brand d'alta moda - poco conosciuto dal grande pubblico e rimasto ai margini del mainstream -, bisogna fare un passo indietro e ripercorrere la storia di questa casa di moda partendo proprio dalla sua fondatrice, Elsa Schiaparelli, la prima stilista a finire sulla copertina di Time

di Ilaria Mauri

Eccentrica, visionaria, appassionata, indipendente, ribelle. Musa di Salvador Dalì, fotografata da Man Ray e dipinta da Picasso, amica di Marcel Duchamp e Paul Poiret; è stata l’acerrima nemica di Coco Chanel, che arrivò a dar fuoco al suo abito durante un ballo in costume nel 1939. Di chi stiamo parlando? Di Elsa Schiaparelli, la stilista italiana naturalizzata in Francia che ha fatto della moda una forma d’arte, opponendo al rigore asciutto dei tailleur neri di Madamoiselle Coco, il suo rosa “Shocking” e provocazioni come il celeberrimo “Abito aragosta”. La casa di moda che porta il suo cognome, da lei fondata nel 1927, è uno dei due brand (l’altro è Dior) scelti da Chiara Ferragni per i suoi look al Festival di Sanremo. L’imprenditrice digitale ha infatti già sfoggiato una creazione dello stilista texano Daniel Rosberry, attuale direttore creativo di Schiaparelli, per la foto di rito con tutta la squadra di conduttori, suscitando grande clamore con le maxi zeppe a forma di piedi. Ma il legame tra lei e la Maison affonda radici solide ed è iniziato un paio di anni fa, quando Chiara Ferragni ha preso parte a una delle prime sfilate di Rosberry sfoggiando un top-scultura dorato che ricalcava i particolari anatomici: neanche a dirlo, fece subito scalpore. Lo stesso clamore suscitato proprio dall’ultima collezione di Schiaparelli, un’ode all’Inferno di Dante che ha portato in passerella tre abiti ispirati alle tre fiere, con applicate delle teste di animali iper realistici (e rigorosamente finte).

Ecco allora che per comprendere appieno lo stile e il significato di questo brand d’alta moda – poco conosciuto dal grande pubblico e rimasto ai margini del mainstream -, bisogna fare un passo indietro e ripercorrere la storia di questa casa di moda partendo proprio dalla sua fondatrice, Elsa Schiaparelli, la prima stilista a finire sulla copertina di Time. Una storia fatta di colori, stravaganze e dettagli anatomici che dura ancora oggi, arrivando sul palco di Sanremo grazie all’abilità di Rosberry, che ne ha sapientemente raccolto l’eredità. Le creazioni di Schiaparelli sono infatti da sempre il frutto di un dialogo tra arte e moda ma non solo; il fascino dell’antichità, della natura e della musica italiana (ecco un primo legame ante litteram con Sanremo!) si aggiungono al fil rouge che unisce tutti gli elementi che hanno caratterizzato le opere e la vita di questa donna d’avanguardia.

Per Elsa l’intellettuale, Elsa la femminista, la moda è stata infatti anche uno strumento di emancipazione, prima di tutto per se stessa e, di conseguenza, per le altre donne. Nel ridefinire il guardaroba della donna moderna, Elsa traeva ispirazione da una costellazione di talenti e amici illustri: cruciale, in tal senso, il suo sodalizio con i surrealisti, tra cui Man Ray, Jean Cocteau, Salvador Dalí e Meret Oppenheim. Ma non solo, Elsa ha collaborato anche con Alberto Giacometti e Jean Schlumberger, che hanno contribuito a definire la sua estetica nel periodo della sua maturità creativa. Tutto questo si vede sopratutto nei bottoni (piccole opere d’arte, sempre uno diverso dall’altro) e nei ricami preziosissimi, dettagli che hanno fatto la differenza nei suoi capi e della definizione della sua estetica. Le sue invenzioni si sprecano, tra cui il trompe l’oeil (iconici i suoi guanti con le unghie smaltate di rosso), i fiocchi, la stampa effetto tatuaggio, le spalline imbottite: per questo la competizione con Coco Chanel era serrata e Madamoiselle non la vedeva di buon occhio. D’altra parte, il loro stile è sempre stato agli antipodi e la cosa è evidente sin dal primo colpo d’occhio.

Alla morte di Elsa, nel 1954, la sua casa di moda iniziò una fase di declino, finché nel 2019 l’imprenditore italiano Diego Della Valle, fondatore di Tod’s (nel cui board siede tra l’altro proprio Ferragni), ha rilevato il marchio affidando la direzione creativa a Daniel Rosberry con il preciso intento di riportarlo agli antichi fasti. Una sfida per lui, all’epoca appena 33enne, che oggi possiamo dire assolutamente vinta. In punta di piedi, ha interiorizzato appieno la figura e la poetica della fondatrice, raccogliendone l’eredità e declinandola in creazioni che fanno tesoro del passato per proiettarsi nel futuro. Ha raggiunto la sua maturità creativa portando a compimento la simbiosi con l’heritage della maison e, con coraggio, sta iniziando a metterci sempre più del suo. Non resta quindi che attendere di vedere cosa ha messo a punto per Chiara Ferragni.
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