Quattro anni e due mesi dopo gli arresti che terremotarono una delle più importanti tv private di Napoli. Si è concluso con pesanti condanne il processo di primo grado a carico di quattro imputati tra cui Lucio Varriale, editore di fatto di Julie Tv e autore – secondo le accuse – di un sistema per frodare il Corecom di almeno 2,3 milioni di euro di finanziamenti pubblici per l’editoria televisiva locale.

La settima sezione del Tribunale di Napoli ha condannato Varriale a 7 anni e 10 mesi di reclusione, all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al risarcimento danni al ministero delle Comunicazioni, costituitosi parte civile. Condannati anche la collaboratrice storica di Varriale, Carolina Pisani, messa a capo di una delle società del ‘gruppo Varriale’ (5 anni e 2 mesi), e i due commercialisti di fiducia, Claudio Erra (5 anni e dieci mesi) e Renato Oliva (5 anni e 4 mesi).

Confermato nella sostanza l’impianto accusatorio dell’ufficio della Procura di Napoli guidata dalla facente funzioni Rosa Volpe, che aveva chiesto per Varriale una condanna a 8 anni e 8 mesi per imputazioni che spaziavano dall’associazione a delinquere, alla truffa, all’emissione di fatture false, formulate al termine di indagini condotte dal nucleo tributario della Guardia di Finanza e coordinate dai pm Stefano Capuano, Francesco Raffaele, Raffaello Falcone e Vincenzo Piscitelli.

Nel corso del processo Julie Tv, che all’epoca occupava il canale 19 del digitale terrestre napoletano, ha dichiarato bancarotta ed è stata chiusa. Conseguenza dei sequestri milionari che hanno accompagnato i provvedimenti cautelari contro Varriale e i suoi complici. Ma fino a quasi tutto il 2018 Varriale ha occupato gli schermi di Julie Tv con una rubrica, ‘Vostro Onore’, con la quale bersagliava con frequenza quasi giornaliera i magistrati che si erano occupati delle sue indagini e i finanzieri che investigavano su di lui. Oltre ad essere stato l’autore di un “dossier” intitolato ‘375 CP. Depistaggio a Palazzo di Giustizia. Il Caso Napoli‘. Sulla copertina c’era un berretto simile a quello delle Fiamme Gialle.

Di questa attività è rimasta traccia nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari che nel novembre 2018 dispose gli arresti domiciliari di Varriale: “Non vi è dubbio che tale comportamento, che si avvale dell’utilizzo delle televisioni al fine di screditare chiunque si frapponga alla realizzazione dei disegni e scopi perseguiti, rappresenta un indice del rafforzamento delle esigenze cautelari ravvisate”. Altri nubi giudiziarie ora si addensano sul capo di Varriale. Nell’aprile scorso l’ex editore è stato arrestato dal gip di Roma con accuse di calunnia aggravata, compiuta attraverso una raffica di dossier inviati via mail a centinaia di destinatari del mondo giudiziario e giornalistico.

L’ordinanza, frutto di un’inchiesta del pm Carlo Villani, individuò 19 parti lese, tra cui 17 magistrati di Napoli, un avvocato, un giornalista. Il fascicolo è stato poi trasferito a Perugia per la presenza tra le ‘vittime’ di Varriale del procuratore capo di Napoli Giovanni Melillo, nel frattempo nominato procuratore nazionale antimafia a Roma. Infine pende a Napoli un processo che vede Varriale imputato per estorsione ai danni dell’ex governatore della Campania Stefano Caldoro, oggetto molti anni fa di una violenta campagna mediatica delle sue tv.

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