“Quando io e mia moglie abbiamo deciso di rientrare, lo abbiamo fatto ragionando sia sulla carriera sia sul futuro di nostro figlio”. Antonio Pirozzi, 33enne ingegnere aerospaziale, motiva anche così la sua decisione di tornare in Italia dopo circa sette anni di lavoro all’estero. È originario di Pomigliano d’Arco, in Campania, dove ha iniziato la sua carriera durante la laurea magistrale, lavorando in ambito sviluppo e qualifica di motori di una multinazionale. Dopo circa un anno però, ha sentito il bisogno di andarsene. “Lasciare quel contratto a tempo indeterminato è stata forse la scelta più folle che abbia mai fatto”, racconta a ilfattoquotidiano.it. Lo stipendio era ottimo per lo stile di vita di un neolaureato e gli avrebbe permesso di rimanere vicino casa. Eppure, ogni giorno sentiva sempre più stretti i limiti di quella posizione.

“Licenziarsi non era la cosa più saggia da fare in quel momento. Tra i miei superiori vedevo grandi competenze e capacità di gestire i progetti, ma poco spirito di apertura”. A non piacergli, all’epoca, è soprattutto l’atteggiamento chiuso verso l’acquisizione di nuove competenze: “Non c’erano prospettive di crescita professionale – dice – in più volevo cambiare settore per entrare nel campo spaziale”. Così, nel 2014, la decisione di tornare a concentrarsi sugli esami universitari. Il piano era chiaro: continuare a formarsi in Francia, dove la sua attuale moglie aveva una parte di famiglia e dove era già stato per un periodo di studi a Parigi durante la triennale. Le scuole francesi sono un’eccellenza per l’ambito aerospaziale, così dopo un Erasmus+ a Poitiers, nel 2016 Pirozzi si iscrive a un master a Tolosa per realizzare il suo sogno.

Rimane in Francia due anni e comincia a vedere i primi frutti delle sue decisioni. “Non sono partito in cerca dell’Eldorado, ma volevo ottimi posti in cui formarmi”. E li trova. A 27 anni, finito il master, Pirozzi fa un tirocinio a Vernon, in Normandia, in una delle più prestigiose aziende del suo settore e poi riceve proposte di assunzione da tutta Europa. Sceglie la Germania per migliorare l’inglese e imparare il tedesco. “Ho valutato le proposte di lavoro per le possibilità che mi davano, non in base al luogo”, spiega. In breve tempo, Antonio passa da ingegnere di sviluppo junior a Mechanical lead engineer, cioè ingegnere responsabile per le analisi strutturali. Una crescita di ruolo e competenze che arriva in modo quasi naturale.

Dopo cinque anni in Germania, però, a Pirozzi cominciano a pesare tutti gli svantaggi di una vita costruita all’estero. “Da un punto di vista professionale, credo che i miei colleghi in Germania fossero esemplari: aperti al dialogo, disponibili, attenti a rispettare gli altri. Nella mia esperienza, però, il lavoro per i tedeschi ti definisce come status e l’interazione umana finisce con l’orario d’ufficio”. Pirozzi apprezza alcuni aspetti di questa distanza: “Da un lato è un bene – dice – perché non rischi episodi di mobbing, per esempio. Dall’altra parte, hai la sensazione che rimarrai per sempre un immigrato”. Il desiderio di tornare in Italia matura soprattutto dopo la nascita di suo figlio, che oggi ha due anni. “È la quintessenza di un uragano – spiega con ironia Antonio – ha un carattere molto affettuoso. I bambini che ho conosciuto in Germania sono più tranquilli. Non volevo perdesse la sua brillantezza per adeguarsi a un mondo che non è fatto come lui”. A poco a poco, valuta tutte le opzioni insieme a sua moglie, laureata in Scienze infermieristiche, che nel frattempo aveva lavorato in una clinica per anziani fino alla nascita del bambino nel 2020. “Siamo cittadini europei e spostarsi è semplice. Ma ai nostri figli volevamo dare un’istruzione italiana”, dice Pirozzi. Sul piano professionale, a questo punto aveva ottime prospettive sia all’estero che in Italia. Da Firenze riceve una proposta per diventare Mechanical architect, cioè ingegnere di Sistema Termo-Meccanico per strumenti ottici spaziali in un’azienda leader nel settore, e accetta.

“Con questo ruolo, la mia esperienza professionale viene subito riconosciuta”, spiega. Ma una promozione simile sarebbe arrivata anche in Germania. L’ultima spinta per tornare arriva grazie al regime fiscale agevolato per il rientro dei lavoratori all’estero, che prevede una riduzione dell’imponibile fino al 70% per cinque anni. “È un ottimo strumento per richiamare persone da fuori – dice -. Ormai c’è il trend di partire perché si pensa che la situazione sia migliore altrove. Eppure, quando si parte bisogna considerare fattori come la sanità, la situazione sociale e i valori della comunità in cui si entra. Vivere all’estero ti forma ma adesso il mio obiettivo è impegnarmi qui. Poi, certo, nella vita non si sa mai”.

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