Cinema

Babylon, un monumento orgiastico e tossico. Il film di Chazelle è esaltato ed esagerato

di Davide Turrini

Damien, anche meno: grazie. In questa ormai lunga serie di tributi al sistema industriale del cinema hollywoodiano che fu, che si è trasformato molte volte, che ha significato (The Fabelmans, per dire), Babylon di Damien Chazelle è quello più ipertrofico, autocelebrativo, esaltato ed esagerato possibile. Un monumento slabbrato e orgiastico, coprologico e tossico, alla follia generale di una professione e di un sogno che anche per un ciak di pochi secondi ha necessitato di sacrifici disumani fino alla morte. Ossessionato da una perfezione ritmica di suono e immagine, quella di fondo che proviene dal suo Whiplash, e che non potrà mai giungere ad un apice, Chazelle vuole sbalordire ma finisce per perdere nella corsa, nel caos, nell’afflosciarsi a metà del film, il coraggio dell’onestà nella messa in scena.

Babylon è un film sulla caducità del mondo delle star (il cinema che si fa e si disfa) o è una performance registica babelica di eccessi assemblati come un in puzzle da migliaia di pezzi? Bel Air, California, 1926, Manny Torres (Diego Calva), un distinto tuttofare messicano americano che lavora per un produttore sta cercando di portare un elefante a una pazza festa di Hollywood. Droga, sesso, gente che si piscia in bocca, che si accoppia furiosa, nuda tra le note febbrili ed estenuanti di una band jazz. È in questo folle baccanale che i protagonisti del film giungono, si presentano e iniziano ad agire (dopo 30 minuti di ritmo asfissiante festaiolo sbuca il titolo del film ndr): l’aspirante attrice, sboccata e imbucata Nellie LaRoy (Margot Robbie oltre il visibile) cattura lo sguardo di Manny, mentre il soave splendido manzo Jack Conrad (Brad Pitt), star del cinema muto è in procinto di lasciare la terza moglie e di ubriacarsi senza un domani; il trombettista afroamericano jazz Sidney (Jovan Adepo) allieta gli astanti scansando il culo dell’elefante; poi ci sono una cantante di cabaret di nome Lady Fay Zhu e la giornalista di gossip Elinor St. John.

Ecco, scordatevi nelle tre e rotte di film gli ultimi due personaggi. Babylon è un gioco sostanzialmente a quattro – Manny, Jack, Nellie e Sidney – e su come questi subiscono la botta terribile in fronte dell’avvento del sonoro (negli ultimi tre minuti di film c’è anche quella del colore ma basta la precedente). Manny già scafato mister Wolf diventerà un executive aggraziato; Nellie sfonderà poco prima di dover recitare con la voce e subito cadrà; Sidney avrà una vita agiata con la sua tromba squillante anche se dovrà risultare occasionalmente più bianco; Jack finirà un po’ come il protagonista di The artist, cioè in disgrazia ma con dolente e raffinata malinconia. Per raccontarci tutto questo Chazelle escogita scene di massa mastodontiche per comparse e ambientazioni (una sorta di parafrasi degli eccessi realizzativi già dell’epoca) ritmate dalla colonna sonora devastante del fido Justin Hurwitz , da movimenti di macchina propulsivi e da un montaggio grottescamente iperteso. Solo che Babylon soffre terribilmente di squilibri generali conclamati. La prima ora che esonda tra piscio, bava, fiamme e cadute fuori dallo schermo; la seconda che si ammoscia come uno pupazzo ciarliero bucato; la terza dove si insegue un disperato e vano tentativo di rianimazione del narrato. L’ambizione di raccontare i sussulti della storia del cinema stando dentro e sui set dell’epoca, oltre ad una comicità accelerata da cartoon, dove e a cosa porta? Gli attori caricati come ossessi spinti al continuo gesto plateale (funziona molto quando la Robbie si scopre, meno quando Pitt cade) ce la mettono pure tutta; il soundtrack da rumba swing impazzita con radici acide alla Mulatu Astatke, tromba e sax baritono che si inseguono è animato da un sacro furore; ma alla fine Babylon sembra non andare da nessuna parte. Si adagia improvvisamente senza benzina, senza aria condizionata e senza patente come se C’era una volta ad Hollywood rimanesse parcheggiato negli anni ’20 con le quattro frecce. Spiace, ma mai come questa volta vale la massima del “tanto rumore per nulla”. Sarà curioso che film farà Chazelle dopo questo. Sempre gliene faranno fare un altro.

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