C’è chi ha scritto alle catene della Grande distribuzione organizzata e chi ha provato a chiedere ai supermercati di “utilizzare contenitori propri purché riutilizzabili, puliti e idonei per uso alimentare”, come previsto dal Decreto Clima del 12 dicembre 2019. Dopo la pubblicazione della videoinchiesta di Greenpeace sulla mancata applicazione del decreto, nell’ambito della campagna Carrelli di plastica e la call to action lanciata da ilfattoquotidiano.it, i sostenitori (scopri perché sostenere ilfattoquotidiano.it) si sono dati da fare su vari fronti. Ma ci ha scritto anche chi si trova dall’altra parte del bancone, ossia i lavoratori della grande distribuzione, spiegandoci cosa impedisce spesso loro di accontentare i consumatori che vogliono portare a casa i prodotti nei propri contenitori. Il nodo sembra essere quello della sicurezza igienico-sanitaria, ma è un problema che può essere risolto. Generalmente, infatti, ogni supermercato si avvale di un consulente che redige le regole Haccp, l’insieme di procedure mirate a garantire la salubrità degli alimenti, aderendo alle norme vigenti. “In Italia è già successo che si modificassero le regole, ovviamente garantendo la sicurezza igienico-sanitaria per portare avanti alcuni esperimenti” spiega Giuseppe Ungherese, responsabile della Campagna inquinamento di Greenpeace, ricordando il progetto ‘Spesa Sballata’ di Varese, “grazie al quale le famiglie che hanno aderito hanno potuto acquistare con i propri contenitori prodotti freschi al banco gastronomia”.

I sostenitori in prima linea – Un modello virtuoso, ma poco diffuso. Lo sanno bene Giorgio e Marisa che hanno chiesto di portare a casa, in contenitori propri, gli affettati tagliati al banco nei supermercati di Biella, Esselunga, Coop, Bennet, Ipergross. “Abbiamo dovuto rinunciare” scrive, ma “fortunatamente abbiamo un piccolo negozio in paese, a Pettinengo, che invece lo fa volentieri. Così, la maggior parte delle volte andiamo lì. Non sapevamo ci fosse una legge e ora potremo appellarci a quello”. Francesca Fort racconta come è andata al Conad di via Nomentana di Monterotondo (Roma): “Alla richiesta di poter utilizzare i propri contenitori come previsto dalla legge, i banconisti mi hanno risposto che non hanno avuto alcuna indicazione dai responsabili e di non conoscere le disposizioni di legge”. Nel frattempo, Marco Radicioni ha scritto a Unicoop Tirreno e Coop Centro Italia per chiedere di applicare il Decreto Clima, appello che Silvio Alfonsi ha esteso a Carrefour, Conad, Esselunga, Eurospin, Lidl, Tuodì. Silvia Parodi ha chiesto, attraverso i social, a Coop Liguria di poter comprare i prodotti di gastronomia portando i suoi contenitori da casa. “Permettere ai clienti di utilizzare i propri contenitori per l’acquisto ai banchi pone problemi organizzativi, tra cui quello di dover settare manualmente ogni volta la tara del contenitore” le ha risposto Coop Liguria. Che aggiunge: “Stiamo lavorando per trovare una soluzione soddisfacente”. Una risposta, però, non convincente per Silvia, che ricorda la legge del 2019, secondo cui dovrebbe essere consentito ai consumatori di poter utilizzare i propri contenitori. “L’operazione di impostazione della tara, francamente – scrive Silvia a Coop – non mi sembra così complicata, la fate anche per i vostri contenitori”.

Cosa ne pensa chi lavora dietro al bancone – Andrea Barizza, in provincia di Padova, ha contattato gli uffici customer service della catena supermercati Alì, dove generalmente va a fare la spesa. “Al momento – è stata la risposta – in tutti i nostri punti vendita non è permesso l’utilizzo dei contenitori portati dai nostri clienti perché non è possibile garantire la sicurezza igienico-sanitaria dei recipienti che arrivano dall’esterno. Anche un singolo contenitore potrebbe contaminare i prodotti e le attrezzature del punto vendita: è infatti nostra responsabilità garantire la sicurezza dei prodotti fino all’uscita delle nostre casse”. Una questione nota agli operatori. Tant’è che, a ilfattoquotidiano.it ha scritto anche Luca, che lavora come addetto alla macelleria in un supermercato Conad della provincia di Bologna. Pur sostenendo che vengono utilizzati troppi imballaggi e la necessità di cercare soluzioni per ridurre il loro consumo, ha sottolineato che “le normative igienico-sanitarie vigenti che vengono applicate nei reparti di trasformazione degli alimenti sono molto chiare e definite. Per ottemperare alle varie direttive dobbiamo registrare anche i lotti di produzione delle vaschette utilizzate, oltre a quelli delle materie prime e schede di scadenze, pulizie e altro”. Pertanto, in mancanza di una direttiva specifica “dove vengono indicate le procedure e le eventuali responsabilità, se un cliente porta un recipiente conforme alle normative – ha spiegato – come responsabile in quel momento alla vendita, non posso prendermi la responsabilità di utilizzarlo, perché alla vista può essere pulito, ma potrebbe essere contaminato da virus o batteri, specialmente con alimenti che poi non andranno consumati previa cottura”. E ha aggiunto: “Il problema delle leggi è sempre lo stesso, dopo la loro approvazione devono essere emesse le specifiche di applicazione”. Anche Cinzia lavora nella grande distribuzione: “Non possiamo usare le nostre posate per prendere cibo sfuso e metterlo dentro questi contenitori, riposarla sul cibo che poi verrà dato a un altro cliente. Purtroppo non è fattibile. Piuttosto rifacciamo i cartoccini con la carta, che saranno i consumatori stessi a inserire nei loro contenitori”.

Il problema igienico-sanitario – Andrea Barizza propone due soluzioni: “O si impone all’esercente di usare il contenitore portato dal cliente, una volta verificato che visivamente sia pulito, e una volta sottoposto a sterilizzazione con ultravioletti, oppure il supermercato potrebbe organizzare un vuoto a rendere, consegnando al cliente il cibo in una vaschetta che poi il cliente riporterebbe indietro lavata, ma che verrebbe comunque sottoposta a nuova igienizzazione. E questa mi sembra la soluzione più praticabile”. Delusa, intanto, Lorenza Zanardi di Parma che ha chiesto al banco gastronomia Coop di applicare il Decreto Clima del 2019. “Il responsabile ha risposto che è più importante il loro regolamento interno sull’igiene – ha raccontato Lorenza – secondo il quale ogni cosa deve essere rintracciabile, perfino la carta del prosciutto”. Lei si è rivolta al Sigma, dove al banco del pesce e della carne hanno assecondato la sua richiesta, mentre al banco gastronomia prima le hanno risposto più volte di sì, ma poi le hanno negato la possibilità di utilizzare i suoi contenitori, spiegando che era contro le regole dell’igiene. Nessun problema, invece, nei negozi, da pollivendolo al fornaio. Lorenza si è chiesta, allora, se sia possibile che un regolamento interno possa aver più valore di un decreto nazionale.

Greenpeace: “È il punto vendita che deve attrezzarsi” – A risponderle, Giuseppe Ungherese. “L’articolo 7 del Decreto Clima introduce la vendita con contenitori riutilizzabili e prevede anche una disposizione ‘di salvaguardia’ per l’esercente al fine di garantire che la pratica si svolga in sicurezza” spiega. L’esercente, dunque, “può rifiutare l’uso di contenitori che ritenga igienicamente non idonei”. “Ovviamente la vendita con tali modalità deve essere permessa – ha aggiunto – definendo le opportune procedure (operative, di formazione, Haccp) che devono essere seguite nel punto vendita”. In Italia, d’altronde, esistono casi in cui tale modalità di vendita avviene con successo e senza problematiche. Si va dalla ‘spesa sballata di Varese’, che ha coinvolto alcuni supermercati Coop e Carrefour della provincia, al progetto ‘Libera la Spesa’, di recente avviato nelle Marche. “È il punto vendita che si deve attrezzare – ha precisato Ungherese – aggiornando le proprie linee guida Haccp per formare il personale sulle nuove procedure da seguire in ogni singola situazione, sempre rispettando le norme vigenti che danno la cornice di riferimento”.

Twitter: @luisianagaita

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