Ovidio El Raton Guzman è stato arrestato alle 6.34 di giovedì a Culiacán, stato di Sinaloa, Messico, nel fortino dei “signori della droga”, di cui suo padre è stato il primus inter pares fino alla cattura e alla condanna all’ergastolo negli Stati Uniti. Un lavoro di intelligence iniziato sei mesi fa ha portato alla cattura di uno dei figli di Joaquín El Chapo Guzman più coinvolti nel controllo del Cartello del Pacifico, come le autorità identificano i narcos guidati prima da El Chapo e ora dai “Chapiti”, gli eredi, che se lo contendono con l’ex fedelissimo Ismael El Mayo Zambada. Quando la polizia, tre anni fa, si era presentata nel quartiere di Tres Rios riuscendo a mettere una prima volta le manette ai polsi di Ovidio Guzman, i sicari del cartello avevano risposto in maniera così violenta da costringere il governo prima a trattare e poi a rilasciare il trentenne erede di una delle organizzazioni criminali più ricche e pericolose al mondo.

Giovedì mattina è andata diversamente: un blitz fulmineo, alle prime luci dell’alba mentre El Raton si spostava all’interno di un convoglio, è andato a buon fine dopo un breve conflitto a fuoco e poco dopo Guzman era già su un aereo in direzione Città del Messico, da dove è poi stato trasportato in elicottero nel carcere di massima sicurezza di Altiplano. Al momento dell’arresto – a cui hanno partecipato agenti della Guardia Nazionale, supportati da militari – aveva con sé armi dell’Esercito e dell’Aeronautica messicana. Verrà estradato negli Stati Uniti, ma non subito: la procedura è infatti stata sospesa da un giudice. El Raton e il fratello Joaquim – secondo il Dipartimento di Stato Usa – coordinano 11 laboratori di metanfetamine nello stato di Sinaloa, dove ogni mese vengono prodotte tra i 1.300 e i 2.200 chili di questa sostanza. Ovidio Guzman avrebbe anche ordinato l’assassinio di alcuni informatori, di un trafficante di droga e di un famoso cantante messicano che si era rifiutato di esibirsi al suo matrimonio. Lo malvagità, insomma, è quello di papà e, anche se la cattura questa volta è andata a buon fine, gli affiliati al cartello hanno reagito come tre anni fa.

Culiacán e molteplici città dello stato di Sinaloa sono state messe a ferro a fuoco nelle ultime ventiquattr’ore, costringendo il governo a imporre alle persone di rimanere chiuse in casa e non andare a lavoro. Centinaia di sicari si sono riversati in strada a bordo di pick-up modificati con mitragliatrici montate sulla parte posteriore, le autostrade sono diventate il teatro di una battaglia corpo a corpo. Una vendetta criminale per la cattura del figlio del boss. L’aeroporto di Culiacán è stato uno dei primi palcoscenici della guerriglia nel tentativo di bloccare il trasferimento di El Raton e il fuoco contro la polizia ha finito per colpire un aereo dell’Aeromexico in fase di rullaggio.

Un incidente che ha portato alla chiusura di tre scali dello stato e alla cancellazione di oltre 100 voli. Non è stato che l’inizio. Le ambulanze della città sono state sequestrate per trasportare i feriti in ospedale, mentre nelle carceri del Sinaloa si sono scatenati tentativi di evasioni di massa repressi con violenza dalla polizia. I grandi snodi viari sono stati bloccati dando fuoco a tir e automobili e nelle ore successive sono scattate le imboscate nei confronti di polizia e militari dell’esercito spediti a controllare la situazione. Almeno 29 persone, tra cui 10 membri delle forze di sicurezza, sono morti e altri 35 sono rimasti feriti nei combattimenti. Il colonello di fanteria Juan José Moreno Orzua, comandante del 43esimo battaglione di stanza a Tepic, e i quattro militari che viaggiavano con lui sono stati assassinati in un’imboscata vicino a Escuinapa.

Violenze contro le forze dell’ordine sono state segnalate anche a Los Mochis, Mazlatan, Caborca, Ciudad Obregón e Angostura. Così il governo ha mobilitato i tank blindati schierandoli nelle strade prese d’assalto dai membri armati del cartello narcos. Il presidente Andrés Manuel López Obrador si è rammaricato per la perdita di vite e Rosa Icela Rodríguez, segretaria alla Sicurezza, ha affermato in conferenza stampa: “Non siamo venuti per vincere una guerra, siamo venuti per costruire la pace. Nessuno è al di sopra della legge”. Tra quattro giorni arriva in Messico il presidente statunitense Joe Biden e le autorità messicane dopo aver incastrato El Raton, sul quale gli Usa avevano messo una taglia da 5 milioni di dollari, vogliono arrivare all’appuntamento con l’ordine ristabilito.

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