Una battaglia strada per strada, l’aeroporto chiuso e il divieto di uscire da casa per tutta la popolazione. L’arresto di Ovidio Guzman, figlio del leader del cartello di Sinaloa, Joaquin El Chapo Guzman, ha trasformato Culiacan in un teatro di guerra con i narcos che hanno ingaggiato un corpo a corpo nelle vie della città con le truppe di élite della polizia. Mentre Ovidio Guzman è stato trasportato nel campo militare 1 di Città del Messico, Culiacan è in stato di massima allerta.

Nel pomeriggio di giovedì, il governo dello Stato di Sinaloa ha emesso un avviso ai cittadini chiedendo di rimanere in casa e non andare al lavoro visto quanto sta avvenendo. Il ministero della Difesa messicano ha inoltre mobilitato le truppe aeree nelle aree intorno allo stato di Sinaloa. La città è stata sostanzialmente circondata dai banditi del cartello, che hanno inoltre chiuso con blocchi stradali l’autostrada verso Mazatlan e la México-Nogales, e l’aeroporto è stato chiuso al traffico aereo con diversi voli cancellati. Lo scontro tra le truppe e i narcos ha coinvolto anche la pista dello scalo con il fuoco incrociato andato avanti anche durante il rullaggio di un velivolo, come testimoniano alcuni video apparsi sui social. L’aereo della flotta Aeromexico, come confermato dalla compagnia, è stato colpito da un proiettile sulla fusoliera.

Intanto le attività pubbliche e private nei comuni di Culiacan e Salvador Alvarado sono state interrotte, comprese quelle delle università di Sinaloa e dell’Ovest. La cattura del figlio di El Chapo avviene pochi giorni prima dell’arrivo in Messico, lunedì prossimo, del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che prima visiterà il confine di El Paso, in Texas, uno dei principali varchi della droga del cartello verso gli Usa. Il tentativo di acciuffare Guzman, conosciuto come El Raton, nel 2019, sempre a Culiacan, aveva provocato anche all’epoca una prova di forza dei “signori della droga” all’interno del loro fortino.

Tre anni fa lo scontro – ricordato dai media messicani come El Culiacanazo – aveva provocato 8 morti e il presidente messicano Andrés Manuel López Obrador aveva autorizzato il rilascio del ventenne dopo un “breve arresto” e una trattativa perché “non può valere più la cattura di un criminale che la vita delle persone”. Allora come oggi nelle città da 750mila abitanti i narcos erano scesi in strada a bordo di pick-up con mitragliatrici e fucili spianati, mettendo tutto a ferro e fuoco per evitare l’arresto di uno dei “Chapiti”, che si nascondeva nel quartiere di Tres Rios, periferia nord di Culiacan.

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