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Volete sapere il segreto di Emily in Paris? È lo stesso di Sex and The City e Beverly Hills 90210: eccolo

(di Francesco Canino e Andrea Conti) L’incredibile abilità di Darren Star di non sbagliare un colpo. Tutto ciò che tocca il regista, sceneggiatore e produttore, “papà” di titoli come Beverly Hills 90210, Sex and the city e, appunto, Emily in Paris, diventa un successo globale

di F. Q.

Appena il tempo di debuttare e alla terza stagione di Emily in Paris è riuscita un’impresa: scalzare dalla cima del podio Wednesday, il progetto cult firmato da Tim Burton, e dopo un solo fine settimana è già la serie più vista su Netflix, in Italia e nel mondo. In attesa di un riscontro numerico, con i dati effettivi sulle ore di visualizzazioni che la piattaforma rilascerà nei prossimi giorni, c’è già una granitica certezza: l’incredibile abilità di Darren Star di non sbagliare un colpo. Tutto ciò che tocca il regista, sceneggiatore e produttore, “papà” di titoli come Beverly Hills 90210, Sex and the city e, appunto, Emily in Paris, diventa un successo globale. Un po’ re Mida della serialità, un po’ genio (e poca sregolatezza), da trent’anni le azzecca tutte e ha conquistato il suo posto al sole nell’olimpo dei creatori con la potente Shonda Rhimes (autrice di titoli come Grey’s Anatomy e Bridgerton) e il prolifico sforna cult Ryan Murphy (da Nip/Tuk ad American Horror Story). Ma qual è il segreto del successo di Star? E perché Emily in the Paris piace tanto?

EMILY IN PARIS E I LUOGHI COMUNI IRRESISTIBILI
Pieno di luoghi comuni, qualche frecciata politicamente scorretta, strategie di marketing che sembrano elaborate dagli alunni di una scuola media ma che alla fine risultano geniali e triangoli amorosi improbabili. Eppure, non si riesce a fare a meno di Emily In Paris, partorita dalla mente talentuosa di Darren Star. Una puntata tira via l’altra (sono dieci in tutto) come le caramelle zuccherate che sai che fanno male, ma continueresti a mangiarne all’infinito davanti alla tv. Qual è il segreto della serie sempre al top nella classifica Netflix, che è stata rinnovata già per la quarta stagione? La compassione per la protagonista, interpretata da Lily Collins. Emily si occupa di strategia dei social media per conto di una grande società di marketing di Chicago, che la spedisce a Parigi per risollevare le sorti di una società francese di marketing per il settore del lusso. Ci riuscirà? Ovvio che sì! Emily è l’americana a Parigi che attraverso i social mostra tutto il suo stupore, la sua ingenuità, sembra quasi tonta ma tonta in fondo non lo è (cioè, noi lo speriamo), vorresti darle un buffetto per dirle ‘svegliati un po”, ma poi fa tenerezza per quanto sia svampita. Emily poi sul versante sentimentale è un disastro assoluto: dal triangolo amoroso con uno chef e una delle sue più care amiche a una relazione con il rampante e ricco Alfie, ignaro dell’attrazione mai sopita della protagonista per il cuoco. Però Emily con il nuovo compagno e l’ex amante chef (che nel frattempo è tornato con la ex tradita) sono tutti amici, per finta. C’è spazio pure per una scoperta da parte di una delle protagoniste della sua sessualità: da etero a lesbica et oplà “oooo la, la, la”. Insomma, dinamiche che farebbero impallidire pure “Beautiful”. Eppure, non ne puoi fare a meno. I cliché si sprecano lungo le tre stagioni, l’ultima non è da meno: “Ai francesi piacciono le lusinghe, piace sentire le cose dolci”, “Il francese è la lingua della diplomazia”, “Anche se hai una brutta giornata Parigi è splendida. È positiva, si diverte… E un po’ ti contagia” e “In quanti staranno facendo sesso sulla ruota panoramica?”. Non manca il branded content con McDonald’s che entra a piede dritto dentro la serie, sganciando (immaginiamo) migliaia e migliaia di dollari. Tutto per la McBaguette! Ma Emily è sempre lì con la sua risata da oca giuliva che ululula mentre brinda “Santééééhhhh” e bacia gli uomini più belli del set. E mentre pensi ‘la smetto perché è inguardabile’ sei già alla decima puntata ad aspettare la quarta stagione con i popcorn in mano – ops, la McBaguette – e in astinenza di qualche luogo comune su Parigi.

DA BEVERLY HILLS A SEX AND THE CITY, TUTTI I SUCCESSI DI DARREN STAR
Si scrive showrunner, si legge creatore di successi. Darren Star a trent’anni era il “golden boy” della tv americana, complice il successo che gli esplose tra le mani con Beverly Hills 90210. Più che un telefilm – ma che ne sanno quelli nati nel 2000 -, un vero e proprio fenomeno tra ascolti clamorosi, giovani attori trasformati in divi planetari e un merchandising che fruttava miliardi di dollari (dai quaderni alle t-shirt, dai profumi ai poster a grandezza naturale che invadevano le camerette di milioni di adolescenti). Star ha inventato il teen drama, pescando a piene mani nel suo vissuto. “A quale personaggio somiglio di più? Brandon Walsh di Beverly Hills, 90210: al liceo io ero come lui, anzi ero lui, e poi da Washington mi sono trasferito a Los Angeles per l’università vivendo esattamente il suo senso di spaesamento. Sempre stato un bravo ragazzo, insomma, con una sorellina tutto pepe come Brenda”, ha raccontato. Nonostante il reboot si stato un flop, a trent’anni di distanza dalla prima stagione, la serie continua ad essere celebrata e mitizzata, tanto che ancora oggi casa Walsh (per la cronaca: si trova ad Altadena, a nord di Pasadena) è meta di tour così come la mitologica casa sulla spiaggia, a Hermosa Beach (Tori Spelling e Jennie Garth, ovvero Donna e Kelly, hanno posato lì davanti pochi giorni fa per lanciare il loro podcast: ed è subito tv nostalgia). A Star è andata decisamente meglio con And Just Like That, un po’ spin off un po’ sequel di Sex and the city, la sua creatura più riuscita, quella grazie al quale ha costruito buona parte del suo impero da 140 milioni di dollari. “Sex and the city ha funzionato perché per i suoi tempi era pionieristico, come oggi lo sono storie come “I may destroy you”, voci potenti e originali”, ha spiegato. Carrie e le altre sono entrate nella storia della tv globale, lui pure. Lo ha fatto prima raccontando i teenager americani, poi sdoganando il sesso e i suoi tabù in SATC (sì, c’è Carrie ma molto del merito si deve alla sfrontatezza di Samantha Jones, interpretata da Kim Cattrall, che ha chiuso per sempre con Sarah Jessica Parker ma non con Star, che la vorrebbe, si dice, in Emily in Paris 4) o, ancora prima, in Melrose Place, dove comparì Matt Fielding, l’unico personaggio dichiaratamente gay presente in tv fino agli anni ‘90. Star ha sempre guardato avanti, ha precorso i tempi e azzardato. Tanto che la scena del bacio tra Matt e l’amico di un altro personaggio, Billy, venne tagliato prima di andare in onda. “Anche all’epoca in cui Matt Fielding era in Melrose Place, c’era una posizione relativamente, direi, ipocrita a Hollywood, dove i gay vivevano le loro vite in modo molto aperto, ma quando si trattava di inserzionisti e di parlarne all’America media, calava una cortina di ferro aziendale”, ha spiegato.

PERCHÉ È UNO SHOWRUNNER DI GRANDE SUCCESSO
Fa sorridere leggere di un bacio gay censurato perché, trent’anni dopo è tutto radicalmente diverso. Almeno apparentemente e “politicamente corretto” permettendo. Nel frattempo, Darren Star ha macinato successi di ogni tipo, come Younger, in cui ha raccontato la generazione dei Millenial, e un solo flop Kitchen Confidential (si tratta dell’adattamento del libro di memorie di Anthony Bourdain, con Bradley Cooper prima che diventasse un divo del cinema, cancellato a metà della prima stagione). E più di recente ha chiuso un contratto milionario con Netflix, che ha lanciato Emily in Paris e poi Uncoupled, la serie con Neil Patrick Harris nei panni di un agente immobiliare newyorkese quarantenne che si trova a reinventarsi una vita dopo che il suo fidanzato da 17 anni lo lascia improvvisamente. Ma qual è il segreto del successo di Star? La capacità di raccontare un’esperienza apparentemente unica o speciale che però diventa, grazie alla sua penna e alle sue intuizioni, universale. “Non era necessario essere una donna single di New York per immedesimarsi nei personaggi di Sex And The City e in quello che stavano passando. Si può essere gay e immedesimarsi in quei personaggi”, ha raccontato in un’intervista. “Allo stesso modo, chiunque può ritrovarsi nella vita di Michael (il protagonista di Uncoupled, ndr) e in quello che sta passando. Si dà il caso che sia raccontato attraverso il punto di vista di un uomo gay che si lascia. Ma questo non significa che gli etero non possano trovare la stessa risonanza emotiva per loro e per le loro vite. A volte, più una storia è specifica, più diventa universale”. Il resto è fatto da narrazioni di ampio respiro, storie corali e intrecci quasi perfetti, un’ampia patina glam (anche i personaggi più scalcagnati abitano in case stupende), capacità di scegliere i volti giusti per il personaggio giusto e il saper mescolare creatività e vita vissuta. “C’è sempre un pezzo di me, ecco perché l’episodio pilota lo scrivo da solo e ci metto dentro esperienze personale e indirette. Per puntare su un progetto devo essere sicuro di volerci passare una certa fetta della vita, ecco perché mi deve toccare da vicino e non ho mai scritto ad esempio polizieschi”, dice, definendosi una persona che “ama fare domande e raccontare storie”. E se per farlo non ti poni confini nella scrittura e se non hai limiti di budget, il gioco è fatto.

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