In pochi sanno che, qualche giorno prima del conclave che lo avrebbe eletto, Joseph Ratzinger fece di tutto per non essere scelto come successore di Karol Wojtyla. Il 16 aprile 2005, due giorni prima di entrare nella Cappella Sistina, l’allora decano del Collegio cardinalizio festeggiava 78 anni. Al termine della congregazione generale del mattino, che come al solito si era tenuta nell’aula nuova del Sinodo, il cardinale Michele Giordano, all’epoca arcivescovo di Napoli, sul piazzale davanti l’aula Paolo VI incontrò Ratzinger che stava entrando nel Palazzo dell’ex Sant’Uffizio. Dopo avergli fatto gli auguri per il compleanno, il porporato lucano domandò al confratello tedesco: “Eminenza, se dovesse succedere qualcosa, lei mica ci fa uno scherzo?”. Una nemmeno tanto velata allusione a una probabile elezione di Ratzinger in conclave. Ma anche un chiaro riferimento alla possibilità per il cardinale decano di rifiutare, eventualità prevista dalle regole del conclave.

“Non pensate a me” – Il porporato tedesco si fece scuro in volto e rispose: “No, Eminenza. Non pensate a me. Lo dica anche agli altri cardinali. Non pensate a me”. Parole che Giordano non riferì agli altri porporati per non danneggiare la candidatura di Ratzinger. È evidente, infatti, che se tra i cardinali elettori si fosse sparsa la voce che il decano avrebbe potuto rifiutare l’elezione nella Cappella Sistina, molto probabilmente il sostegno nei confronti dell’allora prefetto della Congregazione per la dottrina della fede sarebbe stato messo in serio pericolo. Quando fu eletto Papa, però, Giordano ebbe paura di un rifiuto. “Ratzinger, invece accettò subito e serenamente l’elezione con una tale naturalezza che quasi ci sembrò che fosse Papa da sempre”, raccontò poi. La fumata bianca arrivò rapidamente: mancata al terzo scrutinio per soli cinque voti, avvenne alla quarta votazione, la prima del pomeriggio del 19 aprile 2005, con 84 voti su 115. Un segno eloquente di unità da parte del Collegio cardinalizio dopo i 27 anni del lungo regno wojtyliano. Una candidatura, quella di Ratzinger, formatasi proprio nei giorni della Sede Vacante con le sue due monumentali omelie: quella per il funerale di san Giovanni Paolo II e quella per la messa di apertura del conclave. Due autentici manifesti elettorali che convinsero i cardinali elettori a convergere rapidamente sul suo nome.

Le dimissioni e lo “sdoganamento” del Papa emerito – Dopo otto anni di pontificato, la decisione rivoluzionaria delle dimissioni. Un’autentica riforma del papato, come ha sottolineato sempre Francesco: “Penso che il Papa emerito non sia un’eccezione, ma dopo tanti secoli, questo è il primo emerito. Pensiamo, sì, come lui ha detto: “Sono invecchiato, non ho le forze“. È stato un bel gesto di nobiltà e anche di umiltà e di coraggio. Io penso: 70 anni fa anche i vescovi emeriti erano un’eccezione, non esistevano. Oggi i vescovi emeriti sono un’istituzione. Io penso che “Papa emerito” sia già un’istituzione. Perché? Perché la nostra vita si allunga e a una certa età non c’è la capacità di governare bene, perché il corpo si stanca, la salute forse è buona ma non c’è la capacità di portare avanti tutti i problemi di un governo come quello della Chiesa. E io credo che Papa Benedetto XVI abbia fatto questo gesto che di fatto istituisce i papi emeriti. Ripeto: forse qualche teologo mi dirà che questo non è giusto, ma io la penso così. I secoli diranno se è così o no, vedremo. Lei potrà dirmi: “E se lei non se la sentirà, un giorno, di andare avanti?”. Farei lo stesso, farei lo stesso! Pregherò molto, ma farei lo stesso. Ha aperto una porta che è istituzionale, non eccezionale. Il nostro rapporto è di fratelli, davvero. Io ho detto anche che lo sento come se avessi il nonno a casa per la saggezza: è un uomo con una saggezza, con le nuances, che mi fa bene ascoltarlo. E anche mi incoraggia molto. Questo è il rapporto che abbiamo con lui”.

Le riflessioni – Dopo le dimissioni, Benedetto XVI è tornato più volte sulla sua decisione, confessando di non essersi mai pentito di aver rinunciato al pontificato: “Il mio predecessore (Giovanni Paolo II, ndr) aveva la sua missione. Il Papa aveva cominciato con una grandissima energia, si era preso sulle spalle l’intera umanità e aveva portato con una forza straordinaria la sofferenza e il peso di tutto un secolo annunciando il messaggio evangelico, e io sono convinto che una fase di sofferenza fosse parte naturale del suo pontificato. E fosse essa stessa messaggio. Anche la gente l’ha interpretata così. In fondo hanno cominciato a volergli davvero bene solo quand’era sofferente. Se si è aperti verso il prossimo, in una tale situazione si prova un’intima vicinanza con l’altro. Per questo quella sofferenza aveva un suo senso. Tuttavia io ero convinto che non si può ripetere a piacere una simile esperienza. E che dopo un pontificato di otto anni non potevo passarne altri otto in quel modo”.

Il congedo – Recentemente, Benedetto XVI ha scritto una lettera che suona come un autentico congedo dal mondo: “Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato (Paraclito). In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di lui la destra, gli dice: ‘Non temere! Sono io…’”.

Twitter: @FrancescoGrana

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