“Una truffa all’italiana”, un “italian job”. Rimane questa le lettura più diffusa nei corridoi di Bruxelles riguardo allo scandalo delle mazzette inviate dal Qatar che ha investito il gruppo socialista a Bruxelles. Una lettura che crea ansia anche in esponenti di altre famiglie politiche, preoccupati per la già non impeccabile reputazione dei rappresentanti eletti nella Penisola che, dopo quest’ultimo scandalo, rischia di bloccare iniziative, proposte e anche nomine in posizioni chiave. E tra queste c’è quella, fino a pochi giorni fa data per molto probabile, di Luigi Di Maio come Inviato speciale dell’Ue per i Paesi del Golfo.

La sua candidatura, mai smentita nemmeno dall’interessato che è stato avvistato in colloqui stretti con persone vicine ai vertici emiratini nel tentativo di ricucire rapporti fondamentali per svolgere l’incarico, era data in dirittura d’arrivo. A separare l’ex leader di Impegno Civico e la poltrona europea c’era solo l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Josep Borrell, che, dopo l’ok della commissione valutatrice, ha l’ultima parola sul conferimento dell’incarico.

Decisione che, alla luce dello scandalo scoppiato nella capitale belga, diventa molto più complicata da prendere per il commissario spagnolo. Con diversi ex e attuali eurodeputati italiani, oltre agli assistenti parlamentari, coinvolti nello scandalo relativo alle centinaia di migliaia di euro pagati dalla monarchia del Qatar per attività di lobbying non dichiarata all’interno del Parlamento europeo, sarà difficile per Borrell giustificare politicamente la nomina di un ex ministro italiano, che alle ultime elezioni si è alleato proprio con il Pd, partito al quale appartengono alcuni dei personaggi toccati dalle indagini della Procura federale belga, in un ruolo di collegamento proprio fa i Paesi del Golfo e le istituzioni brussellesi. A maggior ragione se si considerano i dossier di primaria importanza e dalla grande sensibilità che Di Maio si troverebbe a trattare, da quello sulla sicurezza fino a quello energetico.

Certo è che quello considerato come il suo principale avversario nella corsa alla poltrona, l’ex commissario europeo per le migrazioni, Dimitris Avramopoulos, presenta anche lui degli aspetti controversi. Pur non appartenendo alla stessa famiglia politica, è comunque di nazionalità greca, la stessa dell’ormai ex vicepresidente del Parlamento Ue, Eva Kaili, indagata con l’accusa di corruzione dopo che, nel corso di una perquisizione, è stata trovata con 750mila euro in contanti. Inoltre, fino allo scoppio dello scandalo figurava come membro del board scientifico di Fight Impunity, la ong presieduta da quello che sembra essere il deus ex machina di tutta la vicenda, ossia l’ex europarlamentare di Articolo 1, Antonio Panzeri. Avramopoulos si è dimesso poche ore dopo la pubblicazione sui giornali dei particolari relativi all’inchiesta, con la sede dell’organizzazione che è stata oggetto di perquisizione.

Resta da capire cosa deciderà di fare adesso Borrell. In nome dell’estraneità alla vicenda dei due personaggi potrebbe scegliere di non cambiare le proprie valutazioni e andare dritto su questi due nomi. Oppure, preoccupato dal possibile impatto politico di tale scelta, potrebbe decidere di puntare su altri profili. La sua decisione, qualunque essa sia, è attesa a breve.

Twitter: @GianniRosini

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