Negli ultimi anni, la Turchia ha registrato un numero record di vendite di armi a diversi Paesi africani interessati ad acquisire il suo hardware militare prodotto internamente, inclusi droni armati, elicotteri d’attacco e aerei turboelica. Salda nelle mani di Tayyp Erdogan, la Turchia bypassa di fatto i problemi di opinione pubblica che potrebbe avere un qualsiasi grande produttore di armi europeo – anche se poi anche qui dominano le eccezioni.

Negli ultimi cinque anni le principali società turche dell’industria della difesa hanno aumentato le loro esportazioni, diversificato i loro mercati esteri e trovato nuovi acquirenti. Un altro fattore critico che rende l’hardware turco attraente per diversi Stati africani che combattono “nemici” locali è che le vendite di armi della Turchia non sono soggette a condizioni, non hanno vincoli sui diritti umani. E’ esattamente ciò che vogliono molti clienti statali africani: sistemi d’arma durevoli e collaudati in combattimento che arrivino rapidamente e senza burocrazia. L’industria della difesa turca ha ormai una comprovata capacità di produrre sistemi d’arma in modo rapido, efficiente e all’ingrosso.

C’è una combinazione di fattori dietro questa improvvisa richiesta di materiale militare turco in Africa. Prezzi più convenienti, alta efficienza, oltre al fatto di essere testati nei teatri di guerra reali hanno aiutato molto la Turchia, ma ce n’è un altro intangibile. L’assenza di storia coloniale incoraggia i Paesi africani a impegnarsi con la Turchia sulla base di una situazione vantaggiosa per tutti.

Avanza così una nuova generazione di signori della guerra. Perché anche l’Iran degli ayatollah si candida come fornitore nelle aree più calde senza fastidiosi impacci parlamentari o proteste dell’opinione pubblica. Infatti droni iraniani e turchi stanno dominando i cieli nel conflitto che contrappone l’Ucraina alla Russia. I Bayraktar TB-2 turchi da febbraio sono diventati famosi tra gli ucraini, le forze russe da quest’estate hanno iniziato a utilizzare il drone iraniano Shahed-136 come sostituto dei loro missili da crociera di precisione.

Non solo Ucraina. Le esportazioni di attrezzature per la difesa dalla Turchia verso l’Africa sono assolutamente senza precedenti in termini di quantità, qualità, valore e portata. La fila dei nuovi acquirenti è guidata da Niger, Ciad, Libia Marocco, Algeria, e poi Etiopia, Eritrea, Somalia. In campo ci sono anche i Paesi del Golfo famelici su ogni novità nel settore. Si sono già prenotati Arabia Saudita e Emirati che si sentono minacciati dai nuovi e poco costosi droni prodotti dall’Iran, lo Shahed-136 costa 20-30 mila dollari ma il missile per abbatterlo che costa 50-80 mila dollari.

Questi droni perfetti per gli eserciti africani, sono le armi per delle forze scarsamente addestrate: chiunque può usarli, non richiedono un lungo addestramento o istruzione.

I test sul campo di battaglia dei sistemi turchi e russi in Libia, Siria e Nagorno Karabakh hanno fatto una differenza tangibile nel promuovere l’industria delle armi turca.

L’Algeria sta firmando un accordo per l’acquisto di 10 droni militari Anka-S prodotti dalle industrie aerospaziali turche (TAI). Il vicino e rivale di Algeri, il Marocco, aveva già ordinato l’anno scorso13 droni armati Bayraktar TB2 dal produttore turco di droni Baykar. Nel 2021, il Niger è diventato il primo cliente straniero a ordinare l’aereo leggero da addestramento e attacco Hurkus, un turboelica prodotto dalla TAI. Da allora anche il Ciad e la Libia hanno ordinato l’aereo. TAI si aspetta molti più clienti per l’Hurkus in Africa, ha fatto sapere in settembre il suo vicedirettore generale.

Nel novembre 2021, la Nigeria ha ordinato due pattugliatori offshore Dearsan di costruzione turca per la sua marina ma anche sei elicotteri TAI T129 ATAK. L’Etiopia ha comprato droni TB2 nel 2021 e li ha utilizzati durante la guerra del Tigray. Almeno altri dieci Stati africani hanno ordinato veicoli militari corazzati di fabbricazione turca.

Spesso dopo le vendite di armi turche arriva la contropartita economica, come accaduto in Libia dopo l’accordo fra Tripoli e Ankara sul petrolio. L’attuale missione della Turchia in Libia è al momento composta da centinaia di ufficiali militari, spie e altro personale turco, 2-3.000 mercenari siriani, oltre a una gamma completa di droni e elicotteri. Una presenza imponente in un Paese dove l’Europa si è disordinatamente ritirata. Nelle vie di Tripoli circola questa battuta: “Se vuoi parlare con qualcuno che qui conta qualcosa, citofonare Istanbul!”.

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