“Un repubblicano mediocre con buone pubbliche relazioni”, un amministratore “mediocre e privo di “lealtà” che si è rivolto a lui “in condizioni disperate” quando si candidava per il suo primo mandato nel 2017. Donald Trump attacca senza giri di parole sul suo social Truth il governatore Ron DeSantis, riconfermato governatore della Florida con una valanga di voti. Una vittoria che ha sigillato il suo status di stella nascente più brillante del partito repubblicano, con una popolarità in crescita dentro e fuori dal Gop. Un’ascesa che l’ex presidente sta cercando di contrastare con ogni mezzo, anche offendendo DeSantis, ribattezzato da The Donald “DeSanctimonious”, ovvero il bigotto. Il governatore della Florida, specie dopo il successo di queste elezioni, è sempre più prevedibile che si candidi alla nomination del partito repubblicano alla Casa Bianca nel 2024 e la vittoria dello scorso 8 novembre ha inasprito ulteriormente la rivalità col tycoon, che lo considera un rivale pericoloso. “News Corp, che è Fox, il Wall Street Journal e il non più grande New York Post, si sono tutti schierati con il governatore Ron DeSanctimonius“, ha attaccato Trump, aggiungendo che alle primarie dei repubblicani nel 2018 “era una politico morto, che è venuto a chiedermi aiutodisperato“. L’ex presidente ha poi ricordato che lui nel 2020 ha avuto “1 milione di voti in più di quelli conquistati da DeSantis. Ron – ha poi aggiunto – ha avuto poca approvazione, sondaggi negativi e niente soldi, ma ha detto che, ‘se lo avessi approvato’, avrebbe potuto vincere”, ha affermato Trump. “Ho anche sistemato la sua campagna, che era completamente andata in pezzi”.

L’offensiva di Trump arriva dopo lo schiaffo degli elettori nei confronti dei suoi candidati: su circa 300 una buona percentuale è stata eletta, ma sono i nomi più identitari, quelli che più rappresentavano la sua politica e il suo pubblico, ad aver steccato. “Non sono per niente arrabbiato, ho fatto un grande lavoro (non ero candidato io!)”, ha detto Trump all’indomani della tornata elettorale, per replicare alla “falsa narrativa dei media corrotti” che lo hanno descritto “furioso” per il risultato del voto. “Sono molto impegnato a guardare al futuro”, ha continuato, precisando che per il 15 novembre è previsto il suo “grande annuncio”, ovvero la probabile corsa alle primarie per tornare alla Casa Bianca. Trump ricorda poi ai suoi sostenitori di essere uno “stable genius”, in riferimento alla proposta di legge presentata al Congresso affinché i candidati alla presidenza si sottopongano a un esame medico prima delle elezioni. Ma è all’interno proprio del partito repubblicano che sta perdendo consensi. Per il Wall Street Journal, la bibbia dei conservatori americani, è lui il “più grande sconfitto”, il “biggest loser”, di questa tornata elettorale. “Che cosa faranno i democratici quando non ci sarà più Donald Trump a perdere le elezioni?” continua graffiante l’editoriale del Wjs che non è una voce isolata tra i repubblicani tradizionalisti che forse considerano questo il momento per riprendersi il controllo del partito che Trump in questi anni ha completamente dirottato. Come l’ex Speaker Paul Ryan, che ebbe una difficile convivenza con l’ex presidente, che ora senza mezzi termini afferma che il partito sta smaltendo “una sbornia di Trump” che la sua onnipresenza sulla scena politica “è un peso per il noi, Trump ci provoca problemi politici”. A chiedere, nei fatti e con i loro successi elettorali, al partito di “andare oltre Trump”, vi sono poi delle giovani leve, come Mike Lawler, ex deputato statale di New York protagonista delle clamorosa vittoria su Patrick Maloney, il deputato newyorkese che guidava la campagna dei dem della Camera. “Vorrei vedere il partito andare avanti – ha detto alla Cnn il 36enne repubblicano – credo che quando ti concentri sul futuro, non puoi guardare al passato. Credo che la gente sia eccitata dall’idea di concentrarci sulle sfide del nostro Paese e credo che dobbiamo concentrarci sui problemi e non sulle personalità”.

A peggiorare la reputazione dell’ex presidente anche il libro di memorie “So Help Me God” di Mike Pence, in uscita il 15 novembre – il giorno del “grande annuncio”. A risaltare, scrive il ‘New York Times’ che ne ha ricevuto una copia, è l’episodio in cui Trump cercò di convincere Pence, suo vice alla Casa Bianca, a intervenire per bloccare la vittoria di Joe Biden nelle elezioni del 2020. Tentativi di convincere Pence a giocare la carta delle frodi elettorali erano arrivati del resto subito dopo il voto: “Jared Kushner mi chiamò il sabato dopo le elezioni. Mi chiese se pensavo che ci fossero stati brogli”, scrive l’ex vicepresidente, che rispose: “Probabilmente sì, ma non è per questo che abbiamo perso”. Poi, all’inizio del 2021, quando il deputato del Texas Louis Gohmert fece causa per convincerlo a dichiarare il ‘verò vincitore delle elezioni, Trump si arrabbiò perché capì che il suo vice era contrario: “Sei troppo onesto”, gli disse: “Centinaia di migliaia di persone ti odieranno e penseranno che sei uno stupido”. Pressione ribadita dallo stesso Trump in una telefonata la mattina del 6 gennaio, poche ore prima dell’assalto al Capitol: “Passerai per debole. Se non lo fai, avrò fatto un grosso errore scegliendoti cinque anni fa”.

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