Televisione

Massimiliano Gallo veste i panni dell’irresistibile avvocato Vincenzo Malinconico: “Vedi colleghi che ti superano all’ultimo provino, altri che vivono momenti di gloria mentre tu arranchi”

Dopo 35 anni di lavoro, decine di film e di serie di successo – da Una grande famiglia a Imma Tataranni passando per I bastardi di Pizzofalcone -, per l’attore napoletano è arrivato il momento del grande salto: è infatti protagonista di una delle fiction di Rai 1 più attese della stagione, al via da giovedì 20 ottobre, in cui incarna un avvocato semi-disoccupato, un marito semi-divorziato, un “non vincente” di successo

di Francesco Canino

L’irresistibile Vincenzo Malinconico, nato dalla penna di Diego De Silva, sta per arrivare in tv con la faccia, le espressioni e lo sguardo ironico di Massimiliano Gallo. Dopo 35 anni di lavoro, decine di film e di serie di successo – da Una grande famiglia a Imma Tataranni passando per I bastardi di Pizzofalcone -, per l’attore napoletano è arrivato il momento del grande salto. Quello da protagonista assoluto. Cresciuto a pane e palcoscenico da due genitori artisti, metabolizzata la lunga gavetta, ha costruito una carriera solida fatta di talento, tanto teatro, bei ruoli e incontri con grandi registi, da Özpetek a Sorrentino (che l’ha voluto in È stata la mano di dio). E ora arriva anche una delle fiction di Rai 1 più attese della stagione, al via da giovedì 20 ottobre, in cui incarna un avvocato semi-disoccupato, un marito semi-divorziato, un “non vincente” di successo che rischia di conquistare il grande pubblico.

Massimiliano, sia sincero: come ci si sente nei panni del “personaggio del momento”?
È divertente e per certi versi faticoso. Penso davvero che le cose non accadano mai per caso. Mi dicono: “È arrivato tardi un ruolo così importante”… forse era solo il tempo necessario per assorbire un cambiamento grande.

Il cambiamento più evidente qual è?
La visibilità, il modo in cui le persone iniziano a guardarti. È molto strano per me.

In 35 anni di carriera non se l’era mai immaginato questo momento?
Sì, ma comunque l’effetto è straniante. Lo spettatore al cinema o a teatro ci viene, fa una scelta. Con la tv invece entri nelle case della gente senza chiedere il permesso, diventi uno di famiglia. Mi fermano e mi trattano come un cugino, come se mi conoscessero da sempre.

Ed è una cosa che la diverte o le mette ansia?
Mi diverte e al tempo stesso la sento come una grande responsabilità. L’effetto della tv è dirompente.

Nei panni di Vincenzo Malinconico, invece, come si è sentito?
Benissimo, anche perché l’ho fortemente voluto. Amo i libri di De Silva e penso che questo tipo di ruolo sia un grande regalo per un attore: Malinconico ha tante sfumature emotive e sentimentali, copre una gamma così vasta di colori che è un’eccezione.

La sua prima reazione quando le hanno proposto questo personaggio?
Felicità e un po’ di preoccupazione, soprattutto dopo il primo provino che non è andato bene. Non è stato facile inquadrare Malinconico, acchiapparlo.

Come ci è riuscito?
“Sembra che tu non lo abbia messo bene a fuoco”, mi dissero al primo incontro. Ci ho lavorato, l’ho sgrezzato. E mi hanno preso. Ma è stato un processo progressivo, me lo sono cucito addosso sul set, dalla camminata alle cose che fa e dice. E ci ho aggiunto qualche nevrosi mia.

Diego De Silva che le ha detto?
Mi ha fatto il più bel complimento che potesse farmi. Lui non descrive mai i personaggi nei suoi libri, perché non gli piace limitare fantasia lettori. “Ci ho messo meno a scrivere perché ora Malinconico me lo immagino esattamente come Massimiliano”, ha detto. Per me è come una dichiarazione d’amore.

In una società che esalta i vincenti, arriva Malinconico che è un antieroe fatto e finito.
Un mondo con più persone come Malinconico non fa male: lui è uno che non si preoccupa di apparire o di dover essere ciò che non è: è un precario nel lavoro e nei sentimenti, ha una vita sgangherate ma vera. Ed è un racconto che va fatto, soprattutto a più giovani: viviamo un momento assurdo, in cui molti raccontano sui social una vita che non hanno. Lo trovo triste.

E lei coi social che rapporto ha?
Ho solo Instagram ed è soprattutto un modo per tenere i contatti con chi mi segue. Non m’interessa usarli per mostrare la mia vita privata, dove vado in vacanza, cosa mangio. E credo che in fondo non interessi nemmeno alla gente, anche se capisco che ormai il confine tra pubblico e privato sia quasi completamente saltato.

Qual è la domanda che le fanno più spesso quando la fermano per strada?
Dipende da chi mi ferma. Ci sono i fan dei Bastardi di Pizzofalcone, quelli di Imma Tataranni… sono molto attaccati ai miei personaggi, come se riconoscessero lo sforzo che faccio per renderli tridimensionali.

Il punto di forza di Malinconico?
L’ironia e il distacco dalle cose.

È un perdente o un non vincente?
Un non vincente per scelta. Non è un perdente, anzi, è uno che non si preoccupa di essere incasellato, se ne frega, è politicamente scorretto. È un finto looser.

Lei ha alle spalle 35 anni di carriera, per altro lineare e senza lunghi stop. A parte il talento, ci vuole più fortuna o forza di volontà?
Non credo alla fortuna. Credo allo studio, alla disciplina e volontà. Faccio diverse masterclass con i giovani aspiranti attori e hanno sempre delle scuse a portata di mano: “Eh, ma l’Italia”, “eh, ma le raccomandazioni”. Le domande da farsi sono altre, l’orizzonte cui guardare è un lungo per non rischiare di essere delle meteore. Epoi bisogna sapere fare le scelte giuste: se pensi solo ai soldi sbagli, se le fai con poca consapevolezza pure.

Lei ha sbagliato molto?
Sì, ma ho avuto la forza di scegliere e dunque di essere libero. Il teatro era ed è la mia isola felice, ho fatto delle scelte strane passando da fiction di successo a film con registi come Sorrentino e Garrone e poi ancora a pellicole indipendenti con cui ho guadagnato zero. La carriera me la sono costruita pezzo per pezzo.

La resilienza quanto conta?
Tantissimo. Vedi colleghi che ti superano all’ultimo provino, altri che vivono momenti di gloria mentre tu arranchi, ma se focalizzi le tue energie su quello non vai molto lontano. Io non guardo mai indietro o di lato, guardo il mio percorso e cerco di essere libero nelle mie scelte. Essere artisti, in fondo, è anche questo.

A proposito di percorso, il suo e quello di Vanessa Scalera in qualche modo si assomigliano. Lunga gavetta, tanto teatro poi la tv e il “successo tardivo”.
Con Vanessa è scoppiato un amore artistico che andrà avanti per tutta la vita. Già ai primi provini per Imma Taratanni ci siano riconosciuti, in qualche modo ci siamo specchiati uno nell’altro. Considero il nostro incontro una fortuna. E dopo aver raccontato due personaggi incredibili come Imma e Pietro, tra qualche settimana saremo in tv anche con Filumena Marturano, per la regia di Francesco Amato. È una scommessa incredibile e una responsabilità vista l’eredità di Eduardo e Titina De Flippo e poi di Sophia Loren e Mastroianni.

Quanto a Imma Tataranni, la terza stagione si farà?
A fine mese inizio le riprese de I bastardi di Pizzofalcone 4, a gennaio quelle di Imma. E sempre all’inizio del prossimo anno debutto a teatro con lo spettacolo Amanti, la prima regia teatrale di Ivan Cotroneo. Fu lui a scrivere il ruolo del cognato che interpretai in Mine vaganti: Ferzan Özpetek intuì il mio potenziale nella commedia.

Suo padre era l’indimenticabile cantante Nunzio Gallo, sua madre l’attrice Bianca Maria Varriale. Che cosa direbbero oggi del successo che le è scoppiato tra le mani negli ultimi anni?
Credo che sarebbero entusiasti non tanto del successo o della popolarità ma del modo in cui ho costruito il lavoro e ho proposto le mie cose. Che sono il frutto dei loro insegnamenti: hanno vissuto solo dell’arte e del loro lavoro, mi hanno insegnato la disciplina e la necessità di saper fare tutto, dal direttore di scena al tecnico luci. E di questo gli sarò grato per sempre.

Ultima domanda e una sola scelta: meglio lo scudetto del Napoli o un David di Donatello?
(ride) Che scelta complicatissima… ma un David azzurro non si può avere?

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