“Una persona mi disse di un certo Valensise con altra persona della ‘ndrangheta della jonica di essersi recati a Roma e di aver avuto un colloquio a Palazzo Grazioli con l’onorevole Silvio Berlusconi e questi gli disse al Valensise che quello che aveva promesso lo manteneva e dovevano stare tranquilli”. È il verbale di dichiarazioni spontanee del defunto collaboratore di giustizia Gerardo D’Urzo finito in un’informativa della Dia, inserita dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo nel fascicolo del processo “’Ndrangheta stragista” che si sta celebrando davanti alla Corte d’Assise d’Appello e che vede alla sbarra Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ergastolo per l’omicidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo. Tornando alle dichiarazioni di D’Urzo, secondo la Dia, “i soggetti legati alla politica aventi cognome Valenzise e aventi interessi in Calabria sono stati identificati in Raffaele Valenzise (l’ex parlamentare dell’Msi e di An deceduto nel 1999, ndr) e Michele Valenzise (il diplomatico e segretario generale del Ministero degli Esteri dal 2012 al 2016, ndr)”.

Il collaboratore D’Urzo è deceduto nel 2014 nel carcere di Pavia ma in quel verbale del 2009 ha riferito anche alcune informazioni apprese in carcere circa incontri effettuati tra esponenti di Cosa nostra ed esponenti della ‘ndrangheta nel periodo immediatamente antecedente alle stragi continentali. A proposito, infatti, alla polizia penitenziaria di Alessandria ha raccontato che, nel 1997 all’interno della casa circondariale di Catanzaro, incontrò “personalmente Giuseppe Mancuso (boss del vibonese, ndr)”. “Mi riferì – c’è scritto nel verbale – che c’era stato un incontro con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, se volevano aderire alle stragi di Roma, Firenze e Milano”. Nel verbale spunta anche il nome di Marcello Dell’Utri: “Nel 1996 – sono le parole di D’Urzo – ero sottoposto al 41 bis nell’isola dell’Asinara e li ho conosciuto Antonino Mangano del quartiere di Brancaccio. Nel passeggio c’era anche Antonino Marchese, cognato di Leoluca Bagarella a sua volta cognato di Salvatore Riina. Il Marchese voleva sapere dal Mangano, da poco in carcere se ‘Luchino’ gli aveva confidato se si sentiva tradito insieme ai fratelli Graviano, che Marcello Dell’Utri non aveva mantenuto i patti”.

Nell’informativa della Dia ci sono anche le dichiarazioni di altri due pentiti: Marcello Fondacaro e Girolamo Bruzzese. Proprio quest’ultimo, in un verbale del 10 marzo 2021, ai magistrati ha raccontato un episodio a cui ha “assistito personalmente” e sarebbe avvenuto “nel 1978-1979, poco dopo l’omicidio di Aldo Moro”. In sostanza, Bruzzese ha parlato di un summit nel luogo dove suo padre trascorreva la latitanza, “presso l’agrumeto di tale Peppe Piccolo”. Tra i partecipanti a quella riunione di ‘ndrangheta, oltre a Domenico Bruzzese, padre del collaboratore di giustizia, ci sarebbero stati: “Peppe Piromalli, Ciccio Albanese, Domenico Giovinazzo, tale ‘Ciccantonio Braghetta’, Alvaro Domenico, Girolamo Mammoliti, Pasquale Sciotto, Peppe Raso detto ‘avvocato’, Peppe Pesce, Vincenzo Rositano”. “Mentre ero lì – ha fatto mettere a verbale Girolamo Bruzzese – vidi giungere nell’agrumeto Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che ho riconosciuto per averli già visti in televisione. Al loro arrivo, mio padre mi fece allontanare su richiesta di Peppe Piromalli, facendomi accompagnare a casa da un suo uomo di fiducia”. Dopo molti anni, stando sempre alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, suo padre gli “raccontò che Craxi e Berlusconi si erano recati al summit perché Craxi voleva lanciare politicamente Berlusconi e quindi per concordare un appoggio anche da parte delle cosche interessate alla spartizione dei soldi che lo Stato avrebbe riversato nel Mezzogiorno”. A fine udienza i giudici hanno deciso l’acquisizione del verbale del pentito defunto e l’audizione degli altri. Il processo è stato rinviato al 10 ottobre.

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