La Corte costituzionale ha la sua seconda presidente donna a tre anni dall’esperienza di Marta Cartabia, attuale ministra della Giustizia. Alle 15 i giudici della Consulta si sono riuniti per votare il successore di Giuliano Amato: in nemmeno un’ora la scelta è ricaduta sulla vicepresidente Silvana Sciarra, 74 anni, originaria di Trani, professoressa emerita di Diritto del lavoro all’università di Firenze. Per l’elezione nelle prime due votazioni era necessaria la maggioranza assoluta (8 giudici su 15): Sciarra, la più anziana tra i tre vicepresidenti in corsa per la carica, l’ha spuntata per un solo voto di maggioranza contro i 7 di Daria De Pretis, mentre il terzo contendente, Nicolò Zanon, non ha raccolto nemmeno una preferenza. Allieva del celebre giuslavorista Gino Giugni, con cui si è laureata all’università di Bari, Sciarra è stata relatrice – tra le altre – della sentenza che a luglio 2022 ha dichiarato indifferibile la riforma delle norme sui licenziamenti, e quella che ha ritenuto discriminatoria la limitazione del bonus bebè ad alcune categorie di migranti.

“Ringrazio i miei colleghi per la fiducia” la prima dichiarazione della neo-presidente, che ha detto di voler “rafforzare la collegialità” del supremo organo giurisdizionale italiano. “Ho il privilegio di avere i capelli bianchi. La Corte ha voluto forse premiare questo criterio della anzianità”, ha affermato in conferenza stampa, sottolineando l’importanza della “sobrietà” da cui “l’istituzione prende autorevolezza, trasparenza e indipendenza”. Ha poi affrontato il tema dei “moniti” che ultimamente sempre più spesso l’organo rivolge al Parlamento esortandolo a legiferare su determinate materie, rinviando a volte le stesse decisioni di merito: “È una tecnica che la Corte ha usato recentemente decidendo di volta in volta e in piena collegialità. Per ora credo si sia mossa sul solco del rispetto del Parlamento. Noi abbiamo fatto quello che ritenevamo giusto fare e continueremo a farlo”, ha riferito. E rispondendo a una domanda sui futuri assetti istituzionali post-voto ha affermato: “Ho fiducia nelle istituzioni. Non posso non averla, non posso non pensare che se ci fosse una forte maggioranza non ci sarà attenzione al pluralismo. Me lo auguro fortemente. Il mio è un messaggio di fiducia e rispetto nelle istituzioni”.

Il 6 novembre del 2014 Sciarra era diventata la prima donna a essere eletta giudice costituzionale dal Parlamento in seduta comune: indicata dal Movimento 5 stelle, fu votata anche dal Pd e da un pezzo di Forza Italia. Il suo nome era stato fatto anche nei giorni dell’elezione del presidente della Repubblica 2022 come papabile candidata del M5s. “La sua riconosciuta competenza costituisce sicura garanzia per l’esercizio di un ruolo istituzionale fondamentale per gli equilibri del Paese”, scrive il leader pentastellato Giuseppe Conte twittando gli auguri di buon lavoro.

Per la prima volta la platea di candidati alla presidenza era a maggioranza femminile. In questo caso risultava inservibile il criterio dell’anzianità di servizio, la bussola che i giudici costituzionali hanno sempre seguito nella scelta: tutti e tre, infatti, hanno giurato l’11 novembre del 2014, e avrebbero potuto assicurare un anno e due mesi di presidenza, visto che il mandato (della durata di nove anni) scadrà nel 2023. In mattinata, appena in tempo per la seduta, ha giurato al Quirinale il professore di diritto amministrativo Marco D’Alberti, il giudice nominato da Sergio Mattarella in sostituzione di Amato, il cui mandato è scaduto lo scorso 18 settembre.

I curriculum degli altri due candidati erano molto differenti da quello di Sciarra. De Pretis, 65 anni, è professoressa di Diritto amministrativo: è stata rettrice dell’università di Trento e prima ancora preside della facoltà di Giurisprudenza. Nominata alla Consulta da Giorgio Napolitano, ha redatto la sentenza che ha ritenuto lesiva anche della dignità sociale l’esclusione dei richiedenti asilo dall’iscrizione anagrafica. Costituzionalista “puro” invece è il torinese Nicolò Zanon, il più giovane del terzetto (61 anni): ordinario all’Università di Milano, prima di arrivare alla Corte su nomina di Napolitano, è stato membro del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e componente laico del Csm. Il suo nome è legato alle due pronunce sull’ergastolo ostativo, con cui la Corte ha ritenuto incompatibile con la Costituzione lai inorma che impedisce agli ergastolani mafiosi di accedere ai benefici carcerari e alla liberazione condizionale se non collaborano con la giustizia. Eletto al Csm nel 2010 su indicazione del Popolo delle Libertà, è stato nominato alla Consulta da Giorgio Napolitano.

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